Segnaliamo l’Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13636, in materia di imposta sulla pubblicità e insegne identificative sui mezzi di servizio degli IVP. L’argomento è stato molto dibattuto e oggetto di provvedimenti di segno opposto. Il 6 marzo del 2018 Assiv ha pubblicato l’interessante lavoro dell’avvocato Massimiliano Marche, che faceva il punto sulla controversa questione, rinviando alla prossima sentenza della Corte di Cassazione. In effetti siamo difronte  ad una ordinanza di rinvio che cassa la sentenza impugnata (oggetto del precedente commento) e rinvia alla CTR del Piemonte, che si dovrà pronunciare di nuovo. La Cassazione ribadisce che le insegne sulle auto di servizio sono un obbligo sancito dalla legge, e quindi non un mezzo pubblicitario, ma che oltre una certa dimensione, l’obbligo cede al fine pubblicitario.  Il provvedimento recita: “le norme vigenti fanno obbligo a tutti gli istituti di vigilanza privata operanti in Italia di dotare i propri autoveicoli con contrassegni distintivi ed identificativi dell’istituto stesso e le dimensioni di tali contrassegni non sono rimesse alla discrezionalità dell’istituto privato ma devono avere caratteristiche dimensionali, per altro autorizzati dall’autorità di PS, tali da consentire l’immediata riconoscibilità degli stessi: pertanto la norma de qua, pur prevedendo l’esenzione dal pagamento dell’imposta ove l’esposizione di un logo o di una targa configuri un obbligo ex lege, mostra tuttavia di considerare rilevante il rispetto di un limite dimensionale superato il quale deve ritenere comunque sussistere un’ipotesi di veicolazione di messaggio pubblicitario”.  Limite da individuarsi nelle disposizioni di cui al d.lgs. n. 507/1993, art. 17, comma I, lettera i), a meno che, ad avviso di chi scrive, l’autorizzazione della Prefettura, oltre a comprendere “i contrassegni distintivi ed il logo” (cit. DM 269/2010, allegato D), disponga anche le dimensioni necessarie ad una corretta identificazione in strada.

 

Maria Cristina Urbano

 

In allegato trovi l’Ordinanza della Corte di Cassazione del 21 maggio 2019, n. 13636