Green Pass e rapporti di lavoro: cosa succede per i lavoratori in somministrazione?

di Michele Tiraboschi

Come è oramai noto a tutti, il possesso del green pass è diventato un requisito di legge per l’accesso ai luoghi di lavoro (art. 3, d.l. n. 127/2021). La questione è oramai pacifica anche se restano ancora da definire numerosi aspetti organizzativi e procedurali di non poco conto per la quotidianità di uffici e fabbriche. Tra i molti fondati dubbi e taluni innegabili aspetti controversi suscita invero forti perplessità la spinta, improntata a un malinteso formalismo, che porta a sollevare problemi giuridici anche là dove non esistono. Tra questi si segnala, su tutti, il caso della gestione e dei controlli relativi ai lavoratori in somministrazione.

È stato infatti da taluno sostenuto che, nell’ambito del contratto commerciale di somministrazione che lega agenzia del lavoro e utilizzatore, sia onere del somministratore assicurare all’utilizzatore che il lavoratore inviato in missione sia in possesso della certificazione verde. In questa prospettiva interpretativa, l’agenzia di somministrazione sarebbe dunque tenuta ad informare i lavoratori in ordine ai nuovi obblighi normativi relativi al possesso del green passIn capo all’utilizzatore, invece, vi sarebbe l’onere di verificarne il possesso da parte del lavoratore al momento dell’ingresso in azienda. Nella eventualità che l’agenzia di somministrazione sia impossibilitata ad assicurare la prestazione del lavoratore a favore dell’utilizzatore per mancanza della relativa certificazione, quest’ultimo potrebbe dunque agire nei confronti del somministratore per responsabilità contrattuale.

Anche una rapida ricognizione normativa, relativa allo schema negoziale che lega agenzia, utilizzatore e lavoratore, dovrebbe tuttavia consentire di superare ogni equivoco e portare agilmente a una diversa soluzione. Nella ripartizione di diritti, obblighi e responsabilità tra fornitore e utilizzatore è infatti chiaro che il primo non può che limitarsi alla informativa nei confronti dei lavoratori da inviare in missione, rimanendo riservato al solo utilizzatore, quale titolare del potere direttivo, il controllo in merito all’effettivo possesso della certificazione verde quale condizione per l’accesso al luogo in cui effettivamente si svolge la prestazione di lavoro. È del resto l’utilizzatore il soggetto che, per definizione giuridica, si appropria della utilità giuridica (ed economia) della prestazione, come precisa l’art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015 secondo cui, in aderenza a quanto già previsto dalle leggi Treu e Biagi, i lavoratori somministrati “per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”.

È insomma pacifico – e sorprende pertanto il dubbio interpretativo – che, dal momento in cui è in missione, il lavoratore somministrato è sottoposto al potere dispositivo e di controllo del datore di lavoro “utilizzatore”, al pari dei lavoratori assunti senza l’intervento di intermediari.

Per quanti vivono dei dubbi, a confermare che sia l’utilizzatore il sostanziale datore di lavoro – e quindi il soggetto tenuto a verificare il possesso del green pass, come prescrive l’art. 3 del decreto-legge n. 127 – vi sono due ulteriori dati normativi che si possono richiamare ad abundantiam, l’uno di natura contrattuale, l’altro di natura legale. Come prescrive l’art. 34, comma 6 del CCNL per le agenzie di somministrazione di lavoro, l’esercizio del potere disciplinare nei confronti dei lavoratori somministrati in missione si attiva sempre ed esclusivamente su segnalazione dell’utilizzatore, cioè non appena l’agenzia abbia ricevuto dalla impresa utilizzatrice gli elementi necessari per la formalizzazione della contestazione. È quindi l’utilizzatore e non l’agenzia a dare impulso al procedimento disciplinare. Allo stesso modo, l’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 81 del 2008 definisce come datore di lavoro il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto della organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità della organizzazione stessa o della unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali.

Queste due disposizioni confermano in modo inequivocabile l’approccio sostanzialistico della normativa lavoristica – anche prevenzionsitica – rispetto alla figura del soggetto che, ai sensi dell’art. 3 del decreto-legge n. 127, è tenuto alla verifica del possesso della certificazione verde e cioè il datore di lavoro.

Ora, è indubbio che un obbligo di tale portata quale è il green pass possa stimolare delle riflessioni volte a comprendere come gestire le diverse realtà organizzative. Allo stesso tempo, tuttavia, ci pare necessario che le imprese e gli attori della rappresentanza compiano lo sforzo, anche in dialogo col sindacato, per individuare delle modalità di verifica tese a garantire la massima sicurezza nei luoghi di lavoro. In questa prospettiva, ci pare innegabile che presto bisognerà riprendere in mano i protocolli anti-contagio che, nella loro impostazione generale e nella loro declinazione a livello aziendale e operativo, hanno sin qui svolto un innegabile ruolo strategico nel contenimento e nel contrasto del Covid-19 nei contesti produttivi e di lavoro.

Michele Tiraboschi

Ordinario di diritto del lavoro

Università di Modena e Reggio Emilia

@MicheTiraboschi

Bollettino ADAPT 4 ottobre 2021, n. 34