Il riaccendersi del conflitto in Libia, con la sostanziale divisione del Paese tra quanti appoggiano il presidente al-Sarraj e le forze a sostegno del generale Haftar, sta avendo ripercussioni sostanziali anche sugli asset italiani, basti pensare, a titolo di esempio, all’annunciata intenzione di Eni di evacuare buona parte del proprio personale presente nel Paese.

Si tratta chiaramente di problemi di geopolitica estremamente vasti e complessi, la cui soluzione può e deve essere trovata in ambito multilaterale. Tuttavia utilizzo questo caso, tra i tanti possibili, per tornare a proporre con forza al legislatore un’iniziativa normativa che, proprio in ragione delle molteplici aree di rischio dove operano le aziende italiane, caratterizzate da situazioni di conflittualità più o meno calda, fornirebbe alle nostre imprese gli strumenti per adempiere al “duty of care”.

Si tratta del dovere di protezione, riconosciuto ormai a livello internazionale e recepito dalla normativa nazionale, che include sia i rischi insiti nell’ambiente lavorativo che quelli derivanti da fattori esterni, tra i quali i c.d. rischi di security: le aziende che operano all’estero, in Paesi e regioni a rischio, hanno il dovere e la responsabilità di proteggere il proprio personale.

Nella mia attuale veste di presidente della principale associazione di categoria della vigilanza privata, ho spesso ricordato come tale mercato, che vale, secondo l’ONU, circa 250 miliardi di dollari l’anno, sia oggi in mano a società americane, britanniche, francesi, israeliane, russe e sudafricane, costituite in massima parte da ex militari professionisti.

Non vi sono aziende italiane, invece, in quanto è assente una specifica normativa nazionale sulla materia (con l’eccezione dei servizi di antipirateria sulle navi mercantili nazionali che, dopo la tragica vicenda dei marò italiani in India, viene svolto esclusivamente da personale delle imprese di vigilanza).

Considerando che il 60% delle attività lavorative delle imprese italiane si svolge tutto o in parte fuori dal territorio nazionale, la maggior parte delle nostre aziende operanti all’estero è costretta a ricorrere a compagnie straniere la cui legislazione nazionale prevede la figura professionale del security contractor quando operano in contesti ad alto rischio.

Sono anni che il comparto che rappresento suggerisce al legislatore l’introduzione di norme che garantirebbero un vantaggio competitivo al nostro sistema Paese dal punto di vista economico, nonché un proficuo reimpiego di personale militare in uscita dalle forze armate con alti livelli di professionalità, e una maggior garanzia nel controllo dei flussi informativi, ai fini della protezione delle politiche industriali e degli asset aziendali, rispetto l’impiego di personale straniero.

ASSIV, nel corso del tempo, ha fortemente auspicato la presentazione di un disegno di legge con l’obiettivo di porre rimedio a tale assurdo vuoto normativo e oggi abbiamo avuto una forte apertura in tal senso da parte di Fratelli d’Italia, in particolare dal suo capogruppo alla Camera, on. Francesco Lollobrigida, il quale ha condiviso le ragioni sottese alla nostra proposta e presentato un’iniziativa legislativa in tal senso.

Auspichiamo che la proposta di legge, che sarà presentata in conferenza stampa alla Camera domani (7 maggio) a partire dalle 11.30, possa procedere speditamente nel suo iter approvativo ed incontrare il favore di tutte le forze politiche.

Si tratterebbe di un forte segnale nel senso di un rafforzamento del sistema-Paese, di difesa dei suoi interessi nazionali e di apertura verso il comparto della vigilanza, che negli anni ha fatto della elevata qualificazione la sua cifra.

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