Home Blog Pagina 35

Dalla Commissione europea le prime indicazioni sugli usi (proibiti) dell’IA nel rapporto di lavoro

Dopo che le disposizioni dell’AI Act in materia avevano già cominciato ad essere applicate – il termine di 6 mesi dall’entrata in vigore previsti sono decorsi lo scorso 2 di febbraio – e ancorché in una forma provvisoria, la Commissione europea ha approvato in data 4 di febbraio gli orientamenti (guidelines) che ai sensi dell’art. 96, § 1, let. b) del Regolamento (UE) 2024/1689 devono guidare l’attuazione pratica del Regolamento AI con riferimento alle pratiche vietate dal suo art. 5 (v. Commission Guidelines on prohibited artificial intelligence practices established by Regulation (EU) 2024/1689 (AI Act)). Seppur si tratti di linee guida non vincolanti – dovendosi attendere a questo fine gli orientamenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. § 5 delle Guidelines) – il documento era molto atteso tanto dagli operatori del mercato quanto dalle Autorità che dovranno garantire il controllo di conformità delle pratiche di intelligenza artificiale negli Stati membri.
 
Venendo all’oggetto delle linee guida, si tratta, nel quadro della disciplina euro-unitaria sull’intelligenza artificiale, di quelle tecnologie e di quegli usi dell’IA che nella prospettiva del rischio adottata dal Regolamento sono ritenuti così pericolosi per i diritti fondamentali e per i valori dell’Unione da dover essere preclusi in radice, salvo specifiche eccezioni. Tra tali pratiche rientrano, per esempio, tecnologie:
– che agiscano nel senso di distorcere o manipolare il comportamento di una persona;

– che tramite forme di social scoring, ossia di valutazione e classificazione dei comportamenti e delle caratteristiche delle persone nel tempo, comportino un trattamento pregiudizievole di persone o gruppi in contesti diversi da quelli in cui i dati sono stati generati o raccolti o che sia comunque sproporzionato o ingiustificato;

– a certe condizioni, che siano utilizzate per prevedere il rischio di commissione di reati da parte di una persona fisica.
 
Per quanto di specifico interesse nella prospettiva giuslavoristica, tra le pratiche vietate di cui all’art. 5 del Regolamento è prevista anche «l’immissione sul mercato, la messa in servizio per tale finalità specifica o l’uso di sistemi di IA per inferire le emozioni di una persona fisica nell’ambito del luogo di lavoro e degli istituti di istruzione, tranne laddove l’uso del sistema di IA sia destinato a essere messo in funzione o immesso sul mercato per motivi medici o di sicurezza» (art. 5, § 1, let. f) del Regolamento).
 
Lasciando al momento da parte i rilievi in merito ai possibili usi del social scoring nell’ambito della assegnazione o della lotta alle frodi rispetto alle prestazioni di sicurezza sociale (v. esempi § 166 delle Guidelines) – se non attuali per l’ordinamento italiano, di certo non remoti se consideriamo le prime sperimentazioni dell’IA nella piattaforma SIISL – è proprio con riferimento al perimetro di tale divieto e delle relative eccezioni, il documento della Commissione risulta di estremo interesse per valutare l’impatto del Regolamento nell’ambito dei rapporti di lavoro (v. sezione 7 delle Guidelines).
 
Come osservato dal documento orientativo della Commissione e dai considerando del Regolamento, le tecnologie di intelligenza artificiale finalizzate al riconoscimento delle emozioni, oltre a far sorgere rilevanti dubbi rispetto alla loro effettiva attendibilità, possono condurre ad esiti discriminatori e, comunque, risultano particolarmente intrusivi rispetto alla libertà e ai diritti fondamentali delle persone, specialmente in contesti caratterizzati da una asimmetria di potere come quello educativo e lavorativo.
 
Detto che il divieto riguarda tanto i provider che forniscono la tecnologia quanto gli eventuali deployer (in questo caso datori di lavoro), esso interessa secondo le guidelines i sistemi di IA che consentono di identificare o inferire emozioni o intenzioni sulla base di dati biometrici della persona (siano essi caratteristiche fisiche o comportamentali), con una sostanziale assimilazione dell’espressione utilizzata all’art. 5 con la nozione di “sistema di riconoscimento delle emozioni” definita all’art. 3, n. 39 del Regolamento. Quanto alla nozione di emozioni, essa andrebbe intesa in senso estensivo, senza limitarsi alle esemplificazioni previste dal considerando 18 del Regolamento (felicità, tristezza, rabbia, sorpresa, disgusto, imbarazzo, eccitazione, vergogna, disprezzo, soddisfazione e divertimento) e comprendendo anche l’eventuale riferimento ad atteggiamenti, ma, sempre in linea con il considerando, escludendo il riconoscimento di stati fisici, come per esempio il dolore o l’affaticamento, che sono al centro del funzionamento di alcuni importanti e innovativi dispositivi di sicurezza sul lavoro. A scopo esemplificativo, il documento rileva come rientrino nel divieto quelle tecnologie di IA che inferiscono se un dipendente è infelice, triste o arrabbiato, ma fuoriescano i sistemi di riconoscimento dell’affaticamento di piloti e autisti.
 
Particolarmente rilevante, ai fini della definizione dell’ambito applicativo del divieto, è la nozione di luogo di lavoro (workplace) che deve essere intesa in termini ampi tanto rispetto alla collocazione spaziale (fisica o virtuale) quanto con riferimento alle persone che vi operano, che includono non soltanto lavoratori subordinati o autonomi, ma anche tirocinanti e volontari e, analogamente a quanto avviene con i sistemi di IA ad alto rischio nei contesti di lavoro, i candidati ad un posto di lavoro. A fronte di questa ampia nozione, viene fornita una lunga lista di pratiche che si ritengono proibite (es. riconoscimento di emozioni durante la selezione del personale o nel periodo di prova o, ancora, uso di telecamere di riconoscimento delle emozioni da parte di un supermercato sui propri dipendenti), mentre non convince, in quanto difficile da prefigurare, l’eccezione formulata rispetto all’uso per mere finalità di formazione personale, laddove i risultati non siano condivisi con responsabili HR e  laddove non impattino sul rapporto di lavoro.
 
Di estremo rilievo, anche per le preoccupazioni che aveva sollevato (v. A. Ponce del Castillo, The AI Act: deregulation in disguise, in Social Europe, 11 December 2023), è il regime di eccezioni rispetto al divieto che riguarda l’uso medico (per esempio, terapeutico) e quello connesso a ragioni di sicurezza. Era soprattutto questo secondo a sollevare dubbi rispetto alle effettive possibilità di adozione di tali tecnologie di IA nei contesti di lavoro. L’orientamento della Commissione è di tipo restrittivo, prevedendosi che l’eccezione non include sistemi di monitoraggio generale del livello di stress tramite analisi delle emozioni e, con specifico riferimento alla nozione di “sicurezza”, che essa si riferisce esclusivamente ad aspetti relativi alla vita e alla salute dei lavoratori o degli studenti e non alla tutela del patrimonio. Tale approccio restrittivo porta la Commissione a ritenere che, non soltanto l’adozione di tali sistemi debba essere limitata a situazioni in cui è strettamente necessario, con le necessarie limitazioni di tempo e ambito applicativo e adeguate garanzie, ma che i dati generati o raccolti nelle poche situazioni in cui è ammesso non vengano utilizzati per ulteriori finalità rispetto a quelle relative alla concreta e legittima esigenza.
 
Infine, oltre a delineare altre pratiche che ricadono fuori dal divieto (es. sistemi di riconoscimento delle emozioni di gruppo) e aver ammesso, con cautele, l’adozione di IA per altre finalità che però possono incidentalmente interessare anche lavoratori (es. personale di sicurezza in eventi pubblici), il documento segnala come, anche laddove ricadenti al di fuori del divieto, tali sistemi sono in ogni caso riconducibili alla nozione di IA ad alto rischio (con le relative tutele e garanzie) e rimangono sottoposti alle ulteriori discipline previste all’interno del GDPR o delle normative nazionali in materia di IA, data protection e/o di diritto del lavoro, ricordando anche che discipline più favorevoli possono essere introdotte dagli Stati membri per la protezione dei diritti dei lavoratori ai sensi dell’art. 2, § 11 del Regolamento (UE) 2024/1689 (e, si potrebbe aggiungere, dell’art. 88 del GDPR).
 
Riportando tale riflessione al caso italiano, questo significa non soltanto verificare la conformità rispetto alla disciplina in materia di protezione dei dati personali (oltre al Regolamento, il d.lgs. n. 196/2003), ma anche valutare l’applicabilità delle tradizionali tutele statutarie e, in particolare, dell’art. 8 in materia di indagine sulle opinioni personali del lavoratore e su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale e l’art. 4, in materia di controlli a distanza. Non è un caso che, proprio con un accordo ex art. 4 fondato sull’esigenza della tutela della salute dei lavoratori sia stata avviata una delle più interessanti sperimentazioni dell’IA nei contesti di lavoro, che seppur non riguardi il riconoscimento di emozioni, mostra la strada per una adozione condivisa di innovative tecnologie per la sicurezza. Si tratta dell’accordo SAIPEM del 2024 che, nello specifico, ha legittimato l’introduzione di telecamere intelligenti per il riconoscimento, tra l’altro, di situazioni di pericolo o di uomo a terra.
 
Emanuele Dagnino

Ricercatore tenure track di diritto del lavoro,
Università degli Studi di Milano

Bollettino ADAPT 10 febbraio 2025, n. 6

Rosolini (SR) punta sulla vigilanza privata: un modello per la sicurezza urbana

Negli ultimi tempi, diversi articoli di stampa hanno evidenziato come numerosi comuni del Centro e del Nord Italia abbiano già scelto o stiano valutando di affidarsi alla vigilanza privata per il presidio e il controllo del territorio comunale.

In questo contesto, assume particolare rilevanza il caso del Comune di Rosolini, in provincia di Siracusa. Pur trovandosi in una situazione di dissesto finanziario, l’amministrazione locale ha deciso di destinare 5.000 euro all’attivazione di servizi di vigilanza privata per contrastare l’aumento della microcriminalità. Il piano prevede l’impiego di tre auto che, nelle ore notturne, pattuglieranno le aree più sensibili della città, con un’attenzione particolare al centro storico, alle zone commerciali e ai quartieri residenziali.

La scelta di Rosolini evidenzia una crescente consapevolezza dell’importanza della sicurezza sussidiaria. Le guardie giurate, infatti, possono rappresentare un valido supporto alle forze dell’ordine, soprattutto nei territori in cui le risorse pubbliche risultano insufficienti. Tuttavia, affinché questa collaborazione risulti realmente efficace, è necessario un cambio di mentalità che riconosca il ruolo strategico della vigilanza privata all’interno del sistema di sicurezza nazionale.

Questo approccio non solo rafforza la sicurezza locale, ma contribuisce anche a creare una rete di controllo più capillare ed efficiente sul territorio. L’integrazione tra forze dell’ordine e vigilanza privata può diventare una risposta concreta alle sfide contemporanee in materia di sicurezza, specialmente in un periodo in cui molte amministrazioni locali devono far fronte a ristrettezze economiche.

L’esperienza di Rosolini potrebbe quindi costituire un modello per altri comuni del Sud Italia, dimostrando come la collaborazione tra settore pubblico e privato rappresenti una strategia efficace per garantire la sicurezza dei cittadini. L’auspicio è che, attraverso una maggiore valorizzazione della vigilanza privata e un rafforzamento della sinergia con le forze dell’ordine, si possa costruire un sistema di sicurezza più efficiente e inclusivo su tutto il territorio nazionale.

Qui trovi gli articoli di stampa che parlano del caso Rosolini.
https://www.corriereelorino.it/il-comune-di-rosolini-ricorre-alla-vigilanza-privata-per-contrastare-laumento-della-microcriminalita/

https://www.siracusanews.it/furti-scassi-e-risse-a-rosolini-il-sindaco-spadola-ricorre-alla-vigilanza-privata/


Huffington Post, ASSIV: Perché è importante la proposta di legge sulla partecipazione al lavoro

di Maria Cristina Urbano – 8 febbraio 2025

Questa iniziativa legislativa mira a disciplinare la partecipazione gestionale, economica, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori nelle aziende italiane. Un provvedimento ambizioso che può migliorare competitività aziendale e stabilità occupazionale

Il dibattito sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati delle imprese ha assunto una nuova centralità con la proposta di legge attualmente in discussione alla Camera dei Deputati, con l’obiettivo di giungere ad approvazione e trasmetterla all’altro ramo del Parlamento in tempi verosimilmente rapidi.

Questa iniziativa legislativa mira a disciplinare la partecipazione gestionale, economica, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori nelle aziende italiane. Si tratta di un provvedimento ambizioso che, in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, si propone di rafforzare la collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro, migliorando la competitività aziendale e la stabilità occupazionale. L’implementazione dell’intero impianto normativo ruota intorno alla contrattazione collettiva, considerata strumento chiave per garantire l’effettiva applicazione delle nuove disposizioni. Nella proposta di legge vi è l’ampliamento della definizione dei contratti collettivi. La normativa include, infatti, nell’ambito della contrattazione collettiva, non solo i contratti collettivi nazionali, ma anche quelli territoriali e aziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente e maggiormente rappresentative a livello nazionale. Questa estensione ha l’obiettivo di garantire una maggiore flessibilità nella regolazione dei rapporti di lavoro, adattandosi meglio alle specificità dei settori e delle aziende coinvolte.

Uno degli aspetti più rilevanti della proposta di legge riguarda l’inserimento dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza e nei consigli di amministrazione delle imprese. In particolare, nelle aziende che adottano il sistema dualistico di governance, gli statuti potranno prevedere la nomina di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza, garantendo così una voce diretta nelle decisioni strategiche aziendali. Anche nelle imprese con sistema tradizionale sarà possibile prevedere la presenza di amministratori espressi dai lavoratori, assicurando un’interlocuzione costante tra proprietà e dipendenti.

Un altro punto qualificante della proposta è la promozione di strumenti di partecipazione finanziaria, attraverso i quali i lavoratori potranno beneficiare di una quota degli utili aziendali, godendo di un regime fiscale agevolato. Particolarmente significativo il fatto che i dividendi derivanti dalle azioni assegnate ai lavoratori in sostituzione dei premi di risultato saranno parzialmente esentati dalle imposte, rafforzando così il legame tra il successo dell’impresa e il benessere dei dipendenti.

La proposta di legge introduce inoltre strumenti innovativi per rafforzare il dialogo sociale e la sostenibilità delle imprese. Le aziende potranno istituire commissioni paritetiche composte da rappresentanti dei lavoratori e dell’impresa, con il compito di elaborare piani di miglioramento e innovazione. Inoltre, viene promossa l’introduzione di figure specifiche dedicate alla formazione, al welfare aziendale, alla qualità dei luoghi di lavoro e all’inclusione delle persone con disabilità, riconoscendo l’importanza del benessere lavorativo come elemento di competitività.

A mio avviso, nel complesso, l’iniziativa legislativa è positiva in quanto pone al centro dell’attenzione il tema della partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale. Riteniamo fondamentale che la contrattazione collettiva sia e resti lo strumento principale per disciplinare la partecipazione, lasciando alle imprese e ai sindacati la libertà di individuare le soluzioni più adatte alle specifiche esigenze produttive.

Ogni intervento normativo dovrebbe garantire che tali strumenti partecipativi non rallentino i processi decisionali delle imprese, né impongano modelli standardizzati che potrebbero non adattarsi alle diverse realtà aziendali. La crescita della cultura della partecipazione deve essere un processo graduale e basato sul dialogo tra le parti sociali, piuttosto che su obblighi imposti per legge, e perché il modello funzioni, dovrà essere sciolto anche il nodo della rappresentatività delle parti sociali.

Il dibattito in Parlamento e tra le parti sociali sarà determinante per comprendere se questa proposta riuscirà a tradursi in una reale innovazione per il mondo del lavoro italiano.

Segui il blog della Presidente Urbano

Leggi l’articolo sull’Huffington Post

Nota INL 378/2025: il verbale di disposizione in materia di sicurezza si impugna dinnanzi all’ ITL

La disposizione impartita dal personale ispettivo per motivi di salute e sicurezza deve essere impugnata dinnanzi al Direttore dell’ Ispettorato territoriale e non al Ministero del Lavoro.

A chiarirlo, con nota n. 378/2025,è lo stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro che ha effettuato una breve analisi dell’ istituto disciplinato dall’ art. 10 del DPR n. 520/1955

Il potere di impartire disposizioni esecutive per la prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro ex art. 10 del DPR n. 520/1955 resta distinto dall’analoga prerogativa riconosciuta dall’art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004. I due istituti differiscono per ambito di applicazione e regime sanzionatorio. 

Il primo consente, infatti, all’ Ispettore di impartire ordini immediatamente esecutivi, applicabili in ambiti come la prevenzione infortuni o la violazione di norme per cui sia attribuito all’ Ispettorato un apprezzamento discrezionale. Questo strumento ha avuto via via nel corso del tempo un’applicazione sempre meno frequente rispetto ad altri istituti più utilizzati, come la prescrizione obbligatoria ex art. 20 del DLgs. 758/94. Quanto al regime sanzionatorio, la mancata ottemperanza alla disposizione è punita con l’arresto fino a un mese o un’ammenda fino a 413 euro in caso di violazioni relative alla sicurezza o igiene sul lavoro, oppure una sanzione amministrativa da 515 a 2.580 euro per altre irregolarità quando le inosservanze non siano sanzionate da  altre leggi.

Diversamente, la disposizione prevista all’art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004, trova applicazione solo in caso di violazioni non già punitecon sanzioni penali o amministrative. Rispetto all’art. 10 DPR 520/1955, l’art. 14 D.Lgs. n. 124/2004 dispone un sistema sanzionatorio diverso, in quanto la mancata ottemperanza alla disposizione comporta solo  una sanzione amministrativa di 1.000 euro.

Nel frattempo, iL D.Lgs. n. 149/2015, con l’obbiettivo di razionalizzare l’attività ispettiva del Ministero, ha istituito la nuova  Agenzia unica per le ispezioni del lavoro dotata di autonomia organizzativa e contabile , denominata Ispettorato Nazionale del Lavoro, eintegrato  i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, con una semplificazione delle norme in materia di ricorsi amministrativi  avverso gli atti degli organi ispettivi, con modifiche all’art. 16 del D.lgs. n. 124/2004 che attribuiscono al direttore della sede territoriale la competenza a decidere per la disposizione art. 14 D.Lgs. 124/2004

Al contrario, stando al tenore letterale della norma, ad oggi la competenza a decidere sui ricorsi avverso provvedimenti di disposizione ex art. 10 DPR 520/1955 risulta ancora attribuito al Ministero del Lavoro.

Tanto premesso, l’Ufficio legislativo dell’ Ispettorato ha reinterpretato l’art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 520/1955 alla luce delle innovazioni introdotte dal D.lgs. n. 149/2015 in tema di attività ispettiva.

Con il venir meno del rapporto gerarchico tra Ispettorato e Ministero, l’art. 10, comma 2 cit. può ritenersi implicitamente abrogato. Di conseguenza l’organo competente a decidere per l’annullamento dei verbali di disposizione emessi ex art. 10 del D.P.R. n. 520/1955 è individuato nel direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro, analogamente a quanto previsto dall’art. 14 del D.lgs. n. 124/2004 recante la disciplina del potere di disposizione del personale ispettivo .

Il ricorso deve essere presentato al direttore territoriale INL entro 15 giorni dall’emissione del verbale di disposizione. L’ Ispettorato ha poi 15 giorni di tempo per decidere e la mancata comunicazione dell’esito equivale a rigetto del ricorso.

Fonte: INL – Lavorosi