ASSIV: Sicurezza nei campi Rom, perché i vigili urbani non sono i più adeguati

Più che di controllo sul rispetto della legalità, sono stati affidati loro compiti di mero piantonamento. Impiegarli in tal modo risponde a un generale principio di ottimizzazione dei costi e nell’impiego delle risorse umane e strumentali? A queste domande mi sento di poter rispondere: no. O, almeno, non dovrebbero essere soli.

Ciclicamente sui giornali compaiono articoli a nove colonne sull’emergenza sicurezza nei campi nomadi. Si tratta di un problema particolarmente sentito nella città di Roma, che non è mai stato compiutamente affrontato dalle amministrazioni comunali che si sono avvicendate negli ultimi decenni. Problema, perché onestamente di problema si tratta, che tuttavia ha un impatto sproporzionato sulla percezione di insicurezza dei cittadini rispetto la sue effettiva consistenza, perché ben visibile nei mezzi pubblici, nelle stazioni, nelle vie dedicate allo shopping e perché ben documentate le attività illecite legate ai furti nelle abitazioni, alla ricettazione, ai furti di metalli da avviare al riciclo.

E proprio per questa sua esposizione è un tema troppo spesso trattato con l’accetta, per chiare esigenze di comunicazione o di natura politica, capace di dividere la pubblica opinione tra chi difende il riconoscimento al diritto di conservare il proprio stile di vita, anche quando quest’ultimo mal si concilia con la contemporanea società occidentale, e chi invece vorrebbe la completa assimilazione dei Rom per tagliare alla radice comportamenti giudicati asociali (si pensi allo sfruttamento dei bambini) o criminogeni. Dibattito spinoso, che vede ragioni in entrambe le posizioni, ma che certamente evidenzia l’incapacità della politica di gestire, anche dal solo punto di vista della sicurezza, la coesistenza tra due realtà tanto diverse.

Ne parlo perché ultimamente il tema è tornato di attualità poiché a controllare sulla sicurezza dei campi Rom sono stati inviati i vigili urbani della Capitale. Più che di controllo sulla sicurezza e sul rispetto della legalità, invero, sono stati affidati loro compiti di mero piantonamento. La polemica ha ovviamente preso subito forza, soprattutto per la carenza cronica di personale da parte del corpo dei vigili urbani capitolini, chiamati istituzionalmente ad operare in molteplici ambiti, su un territorio comunale tra i più vasti d’Europa, con problematiche da far accapponare la pelle al più navigato dei comandanti. Senza contare che i diretti interessati lamentano una sostanziale inadeguatezza nei mezzi strumentali messi a loro disposizione. Ma la domanda che occorre porsi è: ma davvero i vigili urbani sono i più adeguati a svolgere questo tipo di servizio? Impiegarli in tal modo risponde a un generale principio di ottimizzazione dei costi e nell’impiego delle risorse umane e strumentali? A queste domande mi sento di poter rispondere: no. O, almeno, non dovrebbero essere soli.

Come presidente ASSIV, l’associazione che rappresenta il comparto degli Istituti di Vigilanza Privata, mi preme allora formulare una proposta, che riprende soluzioni già adottate in passato.

Il “Regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi nel Comune di Roma” del febbraio 2009 disciplinò infatti in maniera univoca tutti gli insediamenti, a partire dai controlli di sicurezza interni ed esterni. In quella fase si prevedeva un lavoro congiunto di Polizia Municipale e GPG di IVP selezionati per vigilare sui campi. Probabilmente il regolamento si spinse troppo oltre, caratterizzandosi (forse neanche troppo consapevolmente) come tema identitario per la stagione politica di allora, subendo una censura da parte del Consiglio di Stato.

La cosa aveva infatti suscitato un vespaio di non poco conto relativamente ai supposti diritti lesi in relazione alle modalità di controllo e accesso ai campi. Per non dire del fatto che uno degli istituti di Roma che non furono invitati fece ricorso. Tuttavia, da allora il problema del controllo dei campi ritorna ciclicamente, in particolare con riguardo agli accessi, in un’ottica non solo di corretta fruizione, ma di sicurezza urbana.

I tempi sono forse maturi per riprendere quell’iniziativa, strutturandola in maniera più equilibrata, acquisendo magari, già in fase di studio, pareri da parte di chi è quotidianamente impegnato in delicati servizi di controllo del territorio ed è dotato di tecnologie che consentirebbero il rispetto dei diritti di tutti, sia di chi legittimamente vuole accedere ai campi, sia di chi, altrettanto legittimamente, ha la pretesa che all’interno dei campi vigano le stesse regole comportamentali e di ordine pubblico che nel resto del Paese. Sto parlando delle guardie particolari giurate e dell’expertise pluridecennale di istituti ormai alla terza o quarta generazione di management.  

Le competenze, le professionalità, le capacità organizzative, operative e tecnologiche degli Istituti di Vigilanza ne fanno un potenziale enorme che può e deve essere impiegato a supporto delle forze dell’ordine per una gestione sempre più efficiente ed efficace delle scarse risorse pubbliche a servizio della sicurezza dei cittadini. Le alternative sono rinunciare a svolgere in maniera effettiva le funzioni assegnate istituzionalmente alle forze dell’ordine oppure il ricorso a soluzioni raffazzonate (di tipo volontaristico o peggio) che sommerebbero problemi a problemi.

Maria Cristina Urbano

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