Dopo la firma dell’accordo tra ANCI, ANIE e ASSIV, il silenzio. Non una cabina di regia, non un piano operativo, non un progetto pilota. Di fatto, ANCI non ha dato seguito al lavoro avviato, lasciando nel cassetto uno strumento che oggi sarebbe utilissimo
In Italia si parla sempre più spesso di sicurezza urbana. Se ne parla nei bar e nei consigli comunali, nei quartieri dove la sera si esce meno volentieri e nelle dichiarazioni dei sindaci che chiedono più risorse, più uomini, più strumenti. Eppure c’è un elemento che rende tutto questo dibattito quasi paradossale: uno strumento già esiste, è stato firmato, è stato annunciato… e poi è stato lasciato lì, a prendere polvere.
Mi riferisco al Protocollo tra ANCI, ANIE e ASSIV, un accordo che sulla carta avrebbe dovuto aiutare i Comuni a gestire la sicurezza urbana in modo più moderno, concreto ed efficace. E che invece non ha mai davvero visto la luce.
In Italia si parla sempre più spesso di sicurezza urbana. Se ne parla nei bar e nei consigli comunali, nei quartieri dove la sera si esce meno volentieri e nelle dichiarazioni dei sindaci che chiedono più risorse, più uomini, più strumenti. Eppure c’è un elemento che rende tutto questo dibattito quasi paradossale: uno strumento già esiste, è stato firmato, è stato annunciato… e poi è stato lasciato lì, a prendere polvere.
Mi riferisco al Protocollo tra ANCI, ANIE e ASSIV, un accordo che sulla carta avrebbe dovuto aiutare i Comuni a gestire la sicurezza urbana in modo più moderno, concreto ed efficace. E che invece non ha mai davvero visto la luce.
Quando ANCI e ANIE lo firmarono, a fine 2022, l’idea era molto semplice: mettere insieme le competenze industriali e tecnologiche di ANIE (che rappresenta le imprese dell’elettrotecnica, dell’elettronica, della sicurezza) con il ruolo istituzionale dei Comuni italiani.
ASSIV, a sua volta parte di ANIE e che rappresenta il mondo della vigilanza privata, era parte integrante del progetto proprio per rafforzare l’aspetto della sicurezza urbana.
Insomma: comuni + tecnologia + sicurezza + professionisti del settore. Una squadra che, almeno sulla carta, aveva tutto per funzionare.
Il Protocollo puntava su alcuni obiettivi chiave, come aiutare i Comuni a progettare sistemi di videosorveglianza e monitoraggio del territorio più intelligenti; offrire loro formazione, linee guida e supporto tecnico; condividere buone pratiche per rendere le città più sicure, ma anche più moderne e sostenibili; integrare la sicurezza con altre sfide urbane quali energia, illuminazione pubblica, digitalizzazione, rigenerazione degli spazi. Era un modo per dire che sicurezza urbana non significa solo “più pattuglie”, ma anche più tecnologia, più prevenzione, più coordinamento.
Dopo la firma, però, il silenzio. Non una cabina di regia, non un piano operativo, non un progetto pilota. Di fatto, ANCI non ha dato seguito al lavoro avviato, lasciando nel cassetto uno strumento che oggi sarebbe utilissimo.
E la cosa sorprende ancora di più se si guarda al clima attuale: città che faticano a presidiare il territorio, forze dell’ordine sotto pressione, amministrazioni che cercano soluzioni, non sempre ortodosse, per rispondere alle richieste dei cittadini.
Riprendere in mano quel Protocollo avrebbe un impatto immediato. Le competenze infatti già ci sono, ANIE e ASSIV rappresentano aziende e professionisti che da anni lavorano nella sicurezza fisica, elettronica e tecnologica, e non servirebbe quindi inventare nulla: basterebbe metterli nelle condizioni di collaborare con i Comuni. E soprattutto eviteremmo di ricominciare da zero ogni volta, in un eterno e sconfortante “giorno della marmotta”. Ogni Comune oggi va per conto suo, con risultati disomogenei e sprechi di risorse. Il Protocollo offriva un percorso unico, standardizzato, replicabile.
Nel momento in cui la sicurezza torna al centro delle discussioni fa impressione pensare che una soluzione efficace fosse già pronta tre anni fa.
Rilanciare quel Protocollo non deve servire a fare un annuncio una volta di più. Si tratterrebbe, invece, di dare ai Comuni un aiuto concreto; significherebbe usare meglio le tecnologie italiane; contribuirebbe a mettere ordine in un settore che oggi procede a macchia di leopardo. E, soprattutto, vorrebbe dire occupare lo spazio che i cittadini chiedono alle istituzioni: quello della responsabilità e dell’efficacia.








