«Le nostre imprese sono globali, ma la nostra sicurezza privata è ancora nazionale» – Huffington Post, 21 ottobre 2025

Le nostre imprese sono globali, ma la nostra sicurezza privata è ancora nazionale

di Maria Cristina Urbano

Proteggere lavoratori, infrastrutture e asset aziendali, soprattutto all’estero. È ciò che il diritto e la prassi internazionale definiscono come duty of care, il dovere di protezione che ogni datore di lavoro ha nei confronti dei propri dipendenti

Ogni giorno migliaia di imprese italiane operano all’estero, spesso in aree del mondo segnate da instabilità politica, rischio terroristico, criminalità o fragilità istituzionale. Proteggere lavoratori, infrastrutture e asset aziendali in questi contesti non è solo un obbligo etico: è un dovere giuridico e organizzativo. È ciò che il diritto e la prassi internazionale definiscono come duty of care, il dovere di protezione che ogni datore di lavoro ha nei confronti dei propri dipendenti.

Eppure, mentre la consapevolezza di questo principio cresce, l’Italia si trova di fronte a un paradosso: le nostre imprese sono globali, ma la nostra sicurezza privata è ancora “nazionale”, confinata da un quadro normativo che ne limita l’azione oltre i confini. Credo che questo sia uno dei punti centrali del dibattito che il nostro Paese deve affrontare con urgenza. Il settore della sicurezza privata italiano è oggi un comparto evoluto, professionalizzato, con competenze integrate di prevenzione, logistica, tecnologia e intelligence operativa. È parte attiva della tutela di infrastrutture critiche, grandi eventi, supply chain e siti industriali strategici.

Tuttavia, quando un’azienda italiana deve garantire la protezione del proprio personale in missione all’estero, è costretta nella maggior parte dei casi ad affidarsi a società di sicurezza straniere, spesso con costi elevati e minori garanzie di continuità operativa. Non perché in Italia manchino le competenze, ma perché manca una cornice normativa che consenta agli operatori di sicurezza privata di operare in modo legittimo e regolato fuori dal territorio nazionale. Esiste un precedente virtuoso, e dimostra che la via della regolamentazione è possibile e sicura: la legge del 107/2011 sull’antipirateria marittima, che ha autorizzato operatori di sicurezza privata italiani a operare armati a bordo di navi mercantili battenti bandiera italiana.

Quell’esperienza, pienamente conforme al diritto internazionale, ha mostrato che regolare significa dare strumenti a un sistema che già esiste per agire in modo trasparente, controllato e coordinato. Oggi in Parlamento è incardinata una proposta di legge che mira a colmare questa lacuna, consentendo agli operatori di sicurezza privata decretati e dipendenti da istituti di vigilanza autorizzati dal Ministero dell’Interno di operare all’estero. Si tratta di un testo che rappresenta la premessa per una riforma organica della materia e che, già nella scorsa legislatura, aveva raccolto il consenso di diverse forze politiche.

È un passo atteso da anni, che potrebbe finalmente allineare l’Italia agli standard europei e internazionali, mantenendo nel Paese il valore economico e professionale di un settore ad alta specializzazione e rafforzando il sistema di sicurezza complessivo. Ma la sfida, a mio avviso, non è soltanto normativa. Serve una visione strategica che definisca con chiarezza il ruolo dell’operatore di sicurezza italiana all’estero, una modifica del TULPS per superare i limiti territoriali, percorsi di formazione congiunta tra istituti di vigilanza e forze armate, una cabina di regia interministeriale che coordini Interno, Esteri, Difesa e Imprese, e strumenti economici come incentivi fiscali o premialità per le aziende che adottano protocolli di sicurezza certificati. Credo che l’obiettivo debba essere quello di costruire un autentico modello italiano di sicurezza internazionale, fondato su competenza, legalità, responsabilità e collaborazione istituzionale. La sicurezza privata all’estero non è una minaccia, non è un’anomalia. È una necessità per un Paese che vuole essere competitivo, moderno e responsabile. Regolare il settore significa riconoscerne il ruolo strategico nel proteggere non solo i lavoratori, ma anche il know-how, le infrastrutture e la reputazione delle nostre imprese nel mondo.

Come ho ricordato nel corso del convegno “Il Dovere di Protezione – Safety & Security: la tutela di lavoratori e aziende nei contesti di crisi”, ospitato alla Camera dei Deputati lo scorso 20 ottobre , è il momento di superare la diffidenza verso la sicurezza privata e valorizzarne la funzione come pilastro complementare della sicurezza nazionale. Solo così potremo dire che l’Italia tutela davvero il proprio capitale umano e produttivo, non solo entro i confini, ma ovunque operi la sua economia. È in questa direzione che, come presidente di ASSIV, intendo continuare a impegnarmi: per promuovere una cultura della sicurezza come valore strategico per la crescita del Paese e per la tutela delle persone, delle imprese e degli interessi nazionali, dentro e fuori i nostri confini.

Leggi l’articolo sull’Huffington Post

Segui il blog di Maria Cristina Urbano

spot_imgspot_img
spot_imgspot_img
spot_imgspot_img
Segui il blog di Maria Cristina Urbano sull'Huffington Post

Iscriviti alla newsletter

Altri articoli