Da guardia giurata a security contractor Impiego delle guardie giurate all’estero a protezione delle nostre imprese operative fuori confine, e ingresso in un business di 250 miliardi di dollari. Ne parliamo con Maria Cristina Urbano, Presidente di ASS.I.V, e Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia.

Impiego delle guardie giurate all’estero come security contractor. Dal 23 ottobre 2018 giace alla Camera dei Deputati una proposta di legge -primo firmatario il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, l’Onorevole Francesco Lollobrigida– volta alla regolamentazione dell’attività degli istituti di vigilanza privata italiana nella conduzione di attività di sicurezza al servizio delle imprese italiane che operano all’estero, in particolare, ma non solo, in Paesi particolarmente a rischio.
Al momento una normativa specifica non esiste, e la proposta di legge avanzata da Lollobrigida, la n°1295, assegnata alla I Commissione Affari Costituzionali in sede referente il 25 marzo scorso, è «fortemente attesa da tutto il comparto», affermano da ASS.I.V. (Associazione Italiana Vigilanza e Servizi Fiduciari), associazione di categoria che oggi ha organizzato una conferenza stampa con Fratelli d’Italia per la presentazione del testo in discussione, frutto di una collaborazione ASS.I.V.-Fratelli d’Italia.

Il tema, che di primo acchito potrebbe sembrare marginale, quasi un problema burocratico, è, invece, molto complesso e zeppo di implicazioni di politica internazionale e questioni giuridiche, oltre a problematiche connesse alla corretta conoscenza di cosa significa fare sicurezza in un Paese straniero, specie se si opera in area di crisi.
Nel corso dell’ultimo decennio il mercato globale della sicurezza all’estero ha registrato un incremento annuo costante e si stima (dati 2016) un volume di affari in tutto il mondo pari a circa 250 miliardi di dollari, sottolineano gli estensori della proposta di legge. Il business è, dunque, enorme, e questo attira gli appetiti di molti, spesso anche di realtà che per la loro natura e strutturazione sarebbero ben lontane dal poter realizzare i servizi in oggetto.
Molti governi nazionali, Forze Armate, e perfino le Nazioni Unite utilizzano le compagnie di sicurezza private -le motivazioni sono essenzialmente il risparmio sui costi, la progressiva riduzione degli organici delle Forze Armate, la possibilità, da parte dei Governi, di condurre con questo personale azioni militari che se condotte con le Forze Armate nazionali le loro opinioni pubbliche non gradirebbero.
I servizi al centro di questo business vanno, infatti, dai servizi logistici, la gestione della sicurezza di persone e impianti, l’attività di intelligence (e questo è il caso delle così dette PSC -Compagnie di sicurezza private), fino all’assistenza reale al combattimento, alla fornitura di tecnologia militare e alla partecipazione alla ricostruzione postbellica (attività proprie delle PMC -Compagnie militari private- e delle PMSC -Compagnie militari e di sicurezza private).
Secondo l’Europarlamento, oltre 1.5 milioni di appaltatori della sicurezza privata sono stati impiegati in circa 40.000 imprese private di sicurezza (PSC) in Europa nel 2013, anno in cui il fatturato di tali società è ammontato a circa 35 miliardi di Euro, e nel 2016 si stimavano, a livello mondiale, circa 100.000 PSC con 3,5 milioni di dipendenti.

Il tema è molto complesso e rimanda a uno scenario internazionale sul quale da anni proseguono i lavori di riflessione degli esperti in materia, quello della regolamentazione delle PSC, delle PMC e delle PMSC.
L’Unione Europea si è posta il problema, e non da oggi, con una proposta di risoluzione del Parlamento UE alla Commissione volta a «sviluppare un modello normativo europeo efficace».
Il 60% delle attività lavorative delle imprese italiane, ci spiega Maria Cristina Urbano, Presidente di ASS.I.V, e sottolineano gli estensori della proposta di legge, “si svolge tutto o in parte fuori dal territorio nazionale e, in molti casi, in contesti a rischio medio e alto”. Queste imprese hanno la responsabilità di proteggere il proprio personale, il così detto ‘duty of care’, ovvero il dovere di protezione, riconosciuto ormai a livello internazionale e recepito dalla normativa nazionale, che include sia i rischi insiti nell’ambiente lavorativo che quelli derivanti da fattori esterni, tra i quali i rischi di security. Le aziende che operano all’estero, in Paesi e regioni a rischio, hanno il dovere e la responsabilità di proteggere il proprio personale. In molti scenari esteri, il livello di sicurezza fornito dagli apparati governativi e dalle forze di Polizia locali risulta in genere molto basso e insufficiente, con casi frequenti di corruzione, complicità e connivenza con i criminali e i terroristi. Per tanto le aziende sono in condizione di dover garantire in proprio tale sicurezza al personale, e, ovviamente anche ai propri impianti.

L’Italia, però, non ha aziende che svolgano servizi di sicurezza all’estero (PSC), almeno non ufficialmente, proprio causa l’assenza di una specifica normativa nazionale sulla materia “Il quadro normativo nazionale non consente ad imprese di diritto italiano di svolgere attività di sicurezza all’estero”, precisa Urbano. L’unica parziale eccezione prevista dalla legislazione italiana, si legge nella relazione introduttiva alla proposta di legge, è quella «data dal servizio di antipirateria marittima, svolto da istituti di vigilanza autorizzati, regolato dall’articolo 5 del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130».
In assenza di servizi Made in Italy e considerando l’obbligo -’duty of care’- e la necessità di protezione, “i nostri imprenditori sono costretti rivolgersi, per questa particolare tipologia di servizio, a soggetti stranieri. Oggi il mercato vede una preponderanza di imprese americane, britanniche, francesi, russe, israeliane e sudafricane, le quali impiegano generalmente ex militari professionisti”, afferma la Presidente ASS.I.V., sono questi Paesi che hanno di fatto in mano il business del settore.

«Sono anni che il comparto che rappresento», afferma in una nota Maria Cristina Urbano, «suggerisce al legislatore l’introduzione di norme», «con l’obiettivo di porre rimedio a tale assurdo vuoto normativo».
Di qui la proposta di legge Lollobrigida, volta a permettere agli istituti di vigilanza «di fare un ulteriore passo in avanti, consentendo alle imprese pubbliche e private italiane che operano in settori strategici in aree estere, dove la sicurezza non può essere garantita con lo strumento militare in analogia a quanto già previsto nel campo della lotta alla pirateria marittima, di provvedere alla propria sicurezza con risorse nazionali». Un intervento volto a normare il servizio all’estero delle guardie giurate, e, dunque, sostanzialmente, introdurre in Italia le Compagnie di sicurezza private. “L’obiettivo dell’iniziativa legislativa è quello di normare l’attività del security contractor, come già avviene ad esempio per i servizi di anti-pirateria sul naviglio mercantile battente bandiera italiana. Ciò garantirà che tali servizi possano essere svolti sempre nell’ambito del corretto perimetro, nel rispetto della normativa nazionale e dei Paesi ospite”. ci spiega Urbano.

Ciò, secondo Urbano, garantirebbe «un vantaggio competitivo al nostro sistema Paese dal punto di vista economico, nonché un proficuo reimpiego di personale militare in uscita dalle Forze Armate con alti livelli di professionalità, e una maggior garanzia nel controllo dei flussi informativi, ai fini della protezione delle politiche industriali e degli asset aziendali, rispetto l’impiego di personale straniero». Il settore della sicurezza ha, infatti, sottolinea il testo della proposta di legge, «forti legami con la tutela delle aree strategiche e della protezione degli interessi nazionali. In tale contesto, la contrapposizione fra l’interesse privato della società di sicurezza straniera e l’interesse della tutela della riservatezza degli interessi nazionali delle nostre imprese è un elemento della massima importanza che deve essere tenuto nella dovuta considerazione». Da un punto di vista prettamente economico, si sottolinea ancora nella relazione introduttiva alla proposta di legge, questa possibilità «offrirebbe un vantaggio competitivo al ‘sistema Italia’, rispondendo a molteplici e diverse esigenze», in primis «incoraggiare lo sviluppo di un mercato della sicurezza privata porterebbe nuove risorse all’erario grazie alla limitazione dell’uscita dallo Stato di ingenti risorse economiche utilizzate dalle nostre imprese di punta per pagare la sicurezza privata all’estero». La norma, sottolinea Urbano “aprirebbe un importante segmento di mercato ai nostri istituti di vigilanza più dinamici e qualificati”, un settore che impiega 25mila addetti, e “riteniamo che le imprese di vigilanza private sono in grado di assumersi compiti e incarichi sempre più delicati e di complementarietà con le Forze dell’ordine. Nulla si toglie alle prerogative e ai compiti dello Stato circa la tutela degli interessi nazionali, con il 60% delle imprese italiane che ha interessi all’estero, dobbiamo riflettere su quanto queste aziende abbiano bisogno di tutela”.

L’attività che queste guardie giurate elevate al livello di security contractor, operative in un contesto di compagnie di sicurezza private, riguarderebbe, si sostiene nel testo di proposta di legge, «funzioni di sicurezza accessorie rispetto a quelle svolte dai militari, quali l’impiego a livello operativo di consulenza e supporto, nel rispetto dei principi costituzionali che tutelano il monopolio dello Stato sull’uso della forza», «servizi di sicurezza sussidiaria» , il loro impiego sarebbe volto «alla protezione delle merci e dei valori delle imprese pubbliche e private operanti in territorio estero», non è citata la protezione del personale delle imprese. Secondo ASS.I.V., interpellata su questa ‘assenza’, “sarebbe un controsenso tutelare i beni e non le persone”, è in effetti così appare, però il testo di legge parla solo di ‘merci’ e ‘valori’, non di persone, incongruenza che forse sarà ricomposta in fase di dibattito parlamentare.

La differenza tra un contractor e una guardia giurata che opera all’estero ce la spiega la Presidente Urbano: “Se per contractor si intende una persona che lavora a contratto per agenzie che ricevono incarichi da aziende, ebbene la guardia giurata che, adeguatamente preparata secondo le disposizioni che saranno emanate dalle nostre autorità, sotto la vigilanza del Ministero dell’Interno ed il coordinamento delle autorità di pubblica sicurezza del Paese ospite, è a tutti gli effetti un security contractor”. Per quanto attiene la formazione di queste nuove figure di guardie giurate-security contractor, il testo all’esame della Camera dedica un articolo, e parla di «corsi teorico-pratici previsti dall’articolo 6 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 15 settembre 2009, n. 154, disciplinati con apposito provvedimento del Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza» per soggetti che abbiano «prestato servizio nelle Forze armate, senza essere stati congedati con disonore, per un periodo non inferiore a tre anni e aver partecipato, per un periodo di almeno sei mesi, alle missioni internazionali di pace ricoprendo incarichi operativi».

Proprio la formazione di queste figure è la questione più delicata che immediatamente salta agli occhi. Intanto se è vero che in Italia non esistono ufficialmente compagnie di sicurezza private, è altrettanto vero che vi è un sottobosco di aziende, e più spesso singoli che propongono i servizi che sarebbero propri delle PSC, e nella maggior parte dei casi ben lontani dal poter essere considerati servizi professionali di qualità. “Nulla vieta ad imprenditori italiani di costituire società di diritto estero in altri Paesi, con l’obiettivo di assolvere questa tipologia di servizi, né a cittadini italiani con le necessarie competenze di farsi assumere da società di diritto estero operanti nel settore”, ci dice Maria Cristina Urbano. “In entrambe le fattispecie, ovviamente, tali soggetti opereranno al di fuori della normativa nazionale”, il che comporta che “lo Stato italiano, infatti, non è in grado di esercitare alcuna forma di vigilanza e controllo su tali soggetti, ma continua a perdere importanti introiti fiscali”, afferma la Presidente ASS.I.V, la quale si dice ben consapevole della necessità di “eliminare ogni area grigia” e dubbi circa la possibilità che tale personale possa essere impiegato per compiti diversi. In questo caso “il nostro codice penale (nonchè alcune convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce) prevede già il divieto di procedere ad arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero. La proposta di legge non incide in alcun modo su detta disciplina, semmai, chiarendo modalità e limiti del security contractor, la rafforza indirettamente”.
Una fetta consistente di aziende italiane che operano all’estero è quella del settore petrolifero, Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia, è uno che conosce bene da anni le aziende che rappresenta, che continuamente è ‘sul terreno’ in svariate parti del mondo, e sulla gestione della sicurezza ha le idee molto chiare. Auspicando che l’argomento “alquanto delicato” di questa proposta di legge possa contare sulla massima attenzione che merita, ci racconta come “da anni sul mio tavolo arrivano proposte, dossier, relazioni e quant’altro, da militari, ex generali, fantomatici esperti e, quanti si voglio avvicinare o promuovono il loro know-how per assistere le aziende del settore petrolifero in zone con situazioni di criticità dovute ad azioni belliche o, di altra natura geopoliticamente complicata. Più volte, devo dire, che queste proposte non portano a niente, evidenziando lacune tecniche ed operative che non sarebbero di protezione neanche al più normale cittadino che si vede avvicinato da un ladruncolo di provincia”.
“La difesa, la security e la tutela è una materia che non si studia in un master o attraverso dei corsi online, invece, a seguito di situazioni come la Libia, o, negli ultimi anni, con il lessico diventato comune a tanti di Isis, Daesh o Bin Laden, sono diventati tutti degli 007 alla Don Chisciotte”.
“E’ importante che qualsiasi struttura sia a conoscenza massima di lingue, dialetti del posto, usi, costumi, tecnologie, strutture ricettive e tante altre cose ma cosa più importante, abbia l’affiancamento di persone del luogo, nate in quel luogo e che giornalmente vivono quel luogo che, sono la risorsa più importante nei servizi di Contractor come questi”, afferma Marsiglia.
Quando le aziende, prosegue il Presidente di FederPetroli Italia, “quando le aziende mi chiedono a chi potersi affidare per un affiancamento in zone come quello del Medio Oriente più a rischio, la prassi che adotto è una soltanto: i nostri Servizi di Intelligence, l’Intelligence italiana che è risaputo essere il top dell’eccellenza internazionale, anche se qualcuno pensa il contrario. Unica garanzia, sono l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna), AISI (Agenzia e Informazioni Sicurezza Interna) ed i Comitati di Controllo facenti parte della Struttura Operativa della Repubblica Italiana. I miei suggerimenti vengono referenziati da queste fonti e da persone che compongono l’organico di queste strutture, o meglio che in passato hanno fatto parte di questo sistema, che reputo, e reputiamo in FederPetroli Italia, le più attendibili, onde evitare segnalazioni di qualche millantatore o di un semplice ‘pistolero’”.
Nel nostro Paese, afferma Urbano, “esiste certamente un radicato pregiudizio (nel senso di un giudizio convinto prima della conoscenza effettiva di qualcosa) di natura culturale nei confronti dell’impiego di personale armato nei servizi di sicurezza alla persona, ad oggi riservato dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza alle sole Forze dell’Ordine. L’argomento è delicato e offre molte argomentazioni pro e contro. Tuttavia le recenti leggi speciali che hanno introdotto deroghe al principio generale (ad esempio proprio per l’antipirateria), evidenziano il sorgere di nuove esigenze, cui il legislatore può e deve dare positiva risposta. Iniziare con una norma che regoli la sicurezza dei nostri assets all’estero rappresenta, a mio parere, un passo indispensabile per colmare un grave vuoto legislativo”.
Il mondo delle imprese tuttavia sembra più preoccupato sulla qualità del personale, il cui profilo in sintesi ci è stato tracciato da Marsiglia, piuttosto che dei pregiudizi. La proposta di legge è ora in Commissione Affari Costituzionali, in attesa che l’iter dell’esame prenda il via, “l’auspicio è che tutte le forze parlamentari dimostrino la volontà di confrontarsi sullo spirito e nel merito di una proposta lungamente attesa” da un comparto sempre più ansioso di entrare in un business al momento appannaggio solo di alcuni Paesi.
Fratelli d’Italia chiederà in conferenza di capigruppo di calendarizzare, per la quota di proposte riservata alle minoranze, la proposta di legge, ha affermato oggi l’Onorevole Lollobrigida.

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