Maria Cristina Urbano: Viminale tuteli gli Istituti di vigilanza privata

Il tragico ferimento di un dipendente di un istituto di vigilanza privata avvenuto qualche giorno fa all’interporto di Santa Palomba, a sud di Roma, a opera di un giovanissimo collega di 19 anni, nella sua gravità ha nuovamente portato alla ribalta lo spinoso tema della guardiania (nel caso specifico, in periodo notturno, ma il discorso vale in assoluto).

Se è forte il rammarico per quanto accaduto, la gravità del fatto ci costringe a dissipare la confusione che, nel comune sentire, continua a esistere tra servizi fiduciari (di portierato, per intenderci) e servizi di vigilanza privata con guardie giurate armate, nella convinzione che tale confusione non faccia giustizia dei livelli di professionalità e qualità che nel nostro Paese (per fortuna, aggiungo io) sono oramai propri di quanti svolgono un’attività d’impresa così complessa e delicata quale quella dei titolari di licenza ex art. 134 TULPS.

Da più parti infatti, a valle del fatto di cronaca, si è puntato il dito sui presunti inadeguati controlli che verrebbero effettuati da parte degli stessi istituti di vigilanza privata; di pressapochismo generalizzato; addirittura di contiguità con ambienti della malavita. È evidente che chi parla in tal modo o non conosce il comparto, o erroneamente estende al complesso degli operatori circostanze affatto particolari.

 

Ebbene, nella veste di presidente di Assiv, mi corre l’obbligo in primo luogo di ribadire con piena convinzione che i livelli qualitativi degli Istituti associati sono altissimi e che la nostra realtà si è distinta negli anni per aver chiesto a gran voce alle istituzioni tutte, e in particolare al Ministero dell’Interno, l’applicazione stringente del quadro normativo in vigore, proprio a tutela dell’eccellenza conseguita dalla gran parte degli Istituti di Vigilanza, gravemente danneggiati dai pochi che ancora operano in dispregio delle leggi, complice una pubblica amministrazione sonnolenta…

In secondo luogo può essere utile introdurre nel nostro ragionamento la constatazione del fatto che il ragazzo che si è reso colpevole del ferimento del collega anziano, lo abbia fatto per mezzo di un’arma impropria (pare una cesoia utilizzata per aprire gli imballaggi).

Il soggetto, infatti, non è “decretato”, ossia si tratta di una persona che svolge un lavoro di sorveglianza notturna senza qualifica di guardia particolare giurata, assolve nei fatti il ruolo di un portiere. Figura assolutamente e intimamente differente dalla gpg armata, sottoposta a ben altro percorso formativo e a stringenti controlli, altamente professionalizzata.

Volendo ampliare l’orizzonte delle considerazioni sinora sviluppate, da quanto si apprende risulta peraltro che il ragazzo fosse incardinato all’interno di un’azienda fortemente sottodimensionata. Se ciò dovesse corrispondere al vero, sarebbe d’obbligo chiedersi come sia stato possibile rispettare i requisiti minimi necessari all’aggiudicazione di un servizio di guardiania (pure con le sue complessità in un sito quale l’interporto di Santa Palomba). Indipendentemente quindi dalla decisione di affidare la sorveglianza di un luogo a personale armato o non armato, forse questo di Santa Palomba è uno di quei, ahimé, numerosissimi casi nei quali il committente ha compiuto l’errore di barattare la qualità con il risparmio: è di tutta evidenza che personale qualificato significhi costi maggiori.

La legge lo permette? Purtroppo sì. Domandiamoci se non sia il caso di cambiarla.

Maria Cristina Urbano

 

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