Intervista al Dr. Alessandro Manfredini, Direttore Group Security & Cyber Defence di A2A – Presidente di AIPSA (Pubblicata su ICMQ Notizie n. 107)
di Giulia Mazzeo
Dr Manfredini, in che modo la sua esperienza professionale la colloca nel mondo della security? Mi sono avvicinato al mondo della security aziendale dopo un’esperienza di oltre un decennio come ufficiale dei Carabinieri. Diciamo che è stata una transizione abbastanza tradizionale per quegli anni, anche se in quel periodo, mi riferisco agli inizi degli anni duemila, già cominciavano ad esserci percorsi formativi anche a livello universitario che davano la possibilità ai giovani di affacciarsi in modo sistematico a questo mondo. La mia primissima esperienza risale appunto al 2004, quando ho assunto l’incarico di security manager (e successivamente anche HSE manager) per il Gruppo Espresso: la ricordo come estremamente formativa, anche perché il management di allora mi diede la possibilità di continuare a studiare specializzandomi in security management ed in quegli anni riuscii anche a certificarmi come professionista Security UNI 10459. Successivamente accolsi la sfida di partecipare alla start up di ITALO, dove assunsi l’incarico di Direttore della Sicurezza aziendale (safety e security) e facility: sicuramente una esperienza più ampia che mi ha permesso di conoscere meglio il settore ferroviario, con responsabilità maggiori rispetto agli anni precedenti. Anche in questi anni ho continuato a dedicare tempo all’aggiornamento professionale e a seguire i programmi formativi in ambito universitario e non, con la finalità di supportare i giovani che cominciavano ad approcciare al mondo della security. Anche il mio impegno in ambito associativo cominciava a prendere forma più strutturata: ho dedicato, anche in quegli anni, molto tempo alla nostra associazione AIPSA perché ho sempre creduto in un sano networking professionale, rivolto a far crescere le competenze della community. Terminata l’esperienza in ITALO ho fondato una Società di consulenza e per qualche anno ho cercato di mettere a frutto tutto quello che avevo fatto per le Aziende per le quali avevo precedentemente lavorato. In quegli anni ho continuato a mantenere i rapporti con le università e gli enti di certificazione come CERSA (oggi incorporata in ICMQ) di cui sono anche esaminatore per la certificazione dei Professionisti Security UNI 10459. Dal 2016 sono Il Direttore della Security del Gruppo A2A, ove abbiamo implementato un modello organizzativo in cui la security ha la responsabilità di gestire i rischi operativi (provenienti dal mondo fisico e dal mondo cibernetico) per tutte le Società controllate da A2A SpA attraverso un approccio olistico orientato a garantire la continuità – tra l’altro – dei servizi essenziali di pubblica utilità. Da giugno di quest’anno sono stato eletto Presidente di AIPSA dopo un quadriennio in cui ero stato Vicepresidente.
Una lunga esperienza, la sua, non solo in ambito security ma anche in ruoli manageriali. Quali sono, a suo avviso, le qualità che dovrebbe possedere e potenziare un professionista della security? Il Professionista della Security in questi ultimi 30 anni si è trasformato seguendo la naturale evoluzione di quest’ambito. Anche il nostro mondo risente delle complessità, così come altri settori molto specialistici che hanno subito negli ultimi anni fenomeni legati alla globalizzazione e alla transizione digitale dei processi industriali. Sarebbe comunque un errore pensare però di voler risolvere le la questione dei rischi attraverso un approccio esclusivamente tecnologico: le specificità del nostro mondo, soprattutto se si ricoprono incarichi di responsabilità, devono essere gestite con metodo e managerialità, finalizzate a semplificare ciò che è complesso attraverso scelte sostenibili per le nostre aziende. Il professionista della security deve essere un uomo o una donna innanzitutto curioso, con la voglia di mantenersi sempre aggiornato e con la forza di affrontare sempre maggiori sfide. Deve sapersi adattare ai cambiamenti e avere uno spiccato senso pratico e buone doti manageriali e di leadership, che gli consentano di poter gestire gli eventi emergenziali e di crisi che in qualche modo possono coinvolgere la propria organizzazione.
Come responsabile della security di A2A, ha fatto una scelta importante, quella di certificare con ICMQ, come professionisti security UNI 10459, il team dei suoi collaboratori. Qual è stata la motivazione e quali i benefici attesi? Da quando è stata istituita la funzione della security di gruppo ho sempre cercato di garantire un “servizio” di qualità per tutte le società del gruppo. La progettazione e la successiva implementazione di un sistema di gestione della security aziendale efficace ed efficiente non possono non passare dalla qualificazione professionale del proprio personale, così abbiamo puntato molto sulla formazione di tutta la squadra di security (che negli ultimi anni è molto cresciuta) e sui colleghi di altre funzioni che in qualche modo interagiscono con la nostra funzione o sono coinvolti nei processi. Abbiamo poi voluto dare concretezza a questo percorso di crescita professionale creando un corso qualificato che consentisse al personale di potersi certificare: oggi posso dire che la quasi totalità del personale di security del gruppo è certificato come professionista security UNI 10459 con ICMQ e c’è una buona parte della popolazione aziendale che conosce bene cosa sia la funzione di security, quali compiti e responsabilità ha all’interno dell’azienda. Ognuno di loro si sente partecipe di questo processo con tangibili benefici per la sicurezza di tutto il personale.
Lei è stato recentemente eletto presidente di AIPSA – Associazione Italiana Professionisti Security Aziendale, dopo aver ricoperto per diversi anni la carica di vicepresidente dell’associazione. Quali saranno le nuove iniziative che l’associazione introdurrà per sostenere lo sviluppo del professionista della security? Il Direttivo 2022-2025 che presiedo e che si è insediato a fine giugno di quest’anno, si è dato un obiettivo molto ambizioso, vale a dire quello di rafforzare la posizione di AIPSA come interlocutore per le istituzioni e la società civile in generale, nell’ambito delle tematiche del nostro settore. Per fare ciò vogliamo che tutta la community dei professionisti della security cresca e sia costantemente aggiornata per fronteggiare le nuove sfide professionali. Abbiamo dunque deciso di darci un programma strutturato che, partendo dall’intercettare i bisogni della base associativa, sia in grado di veicolare tutta una serie di iniziative: per ogni argomento scelto sarà costituito un gruppo di lavoro che avrà il compito di creare occasioni di formazione su quella determinata tematica e una pubblicazione a carattere scientifico/divulgativo che possa lasciare traccia scritta del know how dei propri associati. A settembre lanceremo una survey proprio per intercettare questi bisogni, anche se alcune tematiche come la formazione e l’awareness, la cyber security, gli ESGs riteniamo che siano topics fondamentali ed universali per cui le iniziative sono già in corso.
Il tema della disparità di trattamento tra uomo e donna sul posto di lavoro è all’ordine del giorno praticamente da quando esistono i “posti di lavoro” (cioè da quando ha iniziato ad esistere un’organizzazione del lavoro strutturata con definizione di compiti, ruoli, responsabilità e, non da ultimo, retribuzioni). Si riscontra una diversità di trattamento tra uomo e donna sia in relazione alla percentuale di persone che hanno un’occupazione sia in riferimento alle retribuzioni a parità di mansione. Tali differenze si riscontrano in tutto il mondo; facendo riferimento all’Europa si nota come il distacco sia meno accentuato nei paesi nordici (secondo la rilevazione dell’indice di parità di genere effettuata dall’European Institute for Gender Equality per il 2021, Svezia e Danimarca raggiungono un punteggio rispettivamente di 83,9 e 77,8 su 100) mentre l’Italia di posiziona a “metà classifica” (con un punteggio di 63,8 su 100). Per quanto ci siano Paesi “messi peggio” (per esempio Ungheria e Grecia), risalire questa classifica è uno degli obiettivi che il legislatore si è posto ormai da diversi anni. L’obiettivo è coerente con la cosiddetta “Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” individuata delle Nazioni Unite che definisce 30 focus da raggiungere entro il 2030. Tra questi compare anche la parità di genere.
Cosa succede in Italia A livello nazionale esistono diversi provvedimenti che affrontano il tema, in particolare si segnalano: – il “codice della pari opportunità” (D.lgs. 198/2006 del 11/06/2006, integrato con Legge 162 del 05/11/2021); – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che nell’ambito della sezione “inclusione e coesione” include un capitolo relativo alle politiche per il lavoro che tratta anche di parità di genere. Nell’ambito del processo di attuazione dei provvedimenti di cui sopra, un passo significativo è la pubblicazione da parte di UNI della Prassi di Riferimento PdR 125, che definisce linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere. È possibile chiedere ad un Ente di Certificazione di rilasciare un certificato di conformità alla PdR 125. Rispetto alle “classiche” certificazioni di sistema di gestione (qualità, ambiente, salute e sicurezza sul lavoro ecc…), vi è tuttavia una differenza rilavante che sarà chiara dopo l’illustrazione dei contenuti del documento.
La PdR 125 La PdR 125 definisce una serie di indicatori di prestazione (KPI) che “fotografano” la situazione dell’organizzazione in riferimento alle pari opportunità. Gli indicatori sono complessivamente 34 e sono divisi in 6 macro aree: 1. Cultura e strategia; 2. Governance; 3. Processi HR; 4. Opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda; 5. Equità remunerativa per genere; 6. Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. A ciascun indicatore è associato un obiettivo; nella maggior parte dei casi si tratta di obiettivi/indicatori di tipo qualitativo. Ad esempio, l’indicatore 1 della sezione cultura strategia richiede la “Formalizzazione e implementazione di un piano strategico che possa favorire e sostenere lo sviluppo di un ambiente di lavoro inclusivo e preveda valori aziendali coerenti con una cultura inclusiva”. In situazioni di questo tipo, la valutazione del raggiungimento dell’obiettivo è di tipo sì/no (il Piano di Strategico è presente e attuato o non lo è, non vi sono vie di mezzo). In altri casi, l’indicatore è di tipo quantitativo, ad esempio l’obiettivo 3 della sezione opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda: “Percentuale di donne nell’organizzazione con qualifica di dirigente”. La valutazione di questo indicatore si esplicita in un valore percentuale; in questo caso i criteri per definire se l’obiettivo è raggiunto sono descritti nel dettaglio dalla Prassi di Riferimento per ogni singolo KPI. Le organizzazioni di dimensioni ridotte potrebbero avere difficoltà ad applicare alcuni degli indicatori (es: quello sopra citato relativo alla percentuale di dirigenti sarebbe difficile da valutare in un’azienda a conduzione familiare in cui non ci sono dirigenti). Per questo motivo, la Prassi di Riferimento classifica le organizzazioni in quattro categorie: – Micro: fino a 9 addetti – Piccola: da 10 a 49 addetti – Media: da 50 a 249 addetti – Grande: 250 addetti e oltre Non tutti i KPI sono applicabili a tutte le categorie di organizzazione, in particolare vi sono esclusioni per micro e le piccole organizzazioni. La particolarità citata nei paragrafi precedenti consiste nel fatto che l’organizzazione non può ottenere la certificazione se non raggiunge almeno il 60% degli obiettivi ad essa applicabili. I sistemi di gestione “classici” sono, invece, orientati al miglioramento continuo e non definiscono un livello minimo al di sotto del quale non si può ottenere la certificazione, fatta salva, ovviamente, la capacità di garantire il rispetto delle prescrizioni (legali e di altro tipo) applicabili. Il raggiungimento degli obiettivi non è tuttavia l’unico requisito per l’ottenimento della certificazione, vi sono requisiti tipici dei sistemi di gestione: l’organizzazione deve definire un Piano Strategico, metterlo in atto, monitorarne l’applicazione e rivederlo periodicamente nell’ottica del miglioramento. Si tratta del ciclo di miglioramento continuo secondo il ciclo Plan – Do – Check – Act (PDCA) comune a tutti i sistemi di gestione. Purtroppo, la struttura della PdR 125 non è allineata alla High Level Structure che contraddistingue tutte le norme ISO della stessa categoria (sistemi di gestione) e questo complica l’integrazione con eventuali altri sistemi di gestione presenti in azienda.
I vantaggi della certificazione L’ottenimento della certificazione consente di accedere a una serie di benefici, tra cui: – l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali fino a un massimo di 50.000 €/anno (attualmente per l’anno 2022); – un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti. L’iter di certificazione è analogo a quello degli altri sistemi di gestione e consiste in un audit iniziale (diviso in fase 1 fase 2) nel quale verrà valutato anche il livello di raggiungimento degli obiettivi, e audit periodici di sorveglianza/rinnovo con cadenza annuale.
Confindustria: Risorse e tempistiche del PNRR. A che punto siamo?
I traguardi e gli obiettivi previsti sono finora stati tutti rispettati. Il Piano sta procedendo spedito come anche i pagamenti delle rate. Al nuovo governo rimarranno 26 condizioni da rispettare entro la fine dell’anno.
La NaDEF ha evidenziato ritardi nella capacità di spesa da parte dello Stato. È stato speso meno di un terzo di quanto previsto nel 2020-2021 e sarà speso la metà di quanto previsto per il 2022. L’entità del rinvio è preoccupante perché le risorse arriveranno più tardi ai beneficiari finali delle misure. Tuttavia, potrebbe darsi che alcuni investimenti siano stati realizzati ma non ancora adeguatamente rendicontati sul sistema di monitoraggio e rendicontazione REGIS, specialmente per i progetti già in essere (ad esempio Transizione 4.0 e le misure di efficientamento energetico). Un’altra giustificazione potrebbe risiedere nel fatto che la programmazione originaria delle spese non fosse coerente e commisurata alle reali capacità di spesa della pubblica amministrazione.
La fattibilità economica degli investimenti e il rispetto delle tempistiche sono le due principali incertezze legate all’implementazione del PNRR. Un’implementazione inefficiente del Piano potrebbe ridurne considerevolmente l’impatto economico.
Nonostante gli interventi governativi, permangono gli stessi rischi di inizio anno legati all’attuazione del Piano. Tra questi, i rincari dell’energia, la carenza di alcuni materiali e le elevate differenze di performance tra le pubbliche amministrazioni incaricate di attuare il Piano.
Alcuni fattori favoriranno l’implementazione del Piano: nel 2023 molte opere saranno “cantierizzate”; sono stati istituiti lo sportello Capacity Italy e task force specifiche a supporto degli enti locali; gli snellimenti burocratici introdotti con le riforme del PNRR favoriranno un’accelerazione nella capacità di spesa.
Relativamente al rispetto delle tempistiche, il Regolamento del dispositivo Recovery and Resilience Facility prevede che in caso di un mancato raggiungimento di una condizione in maniera soddisfacente, la rata sia sospesa. Segue un dialogo con la Commissione, scandito da tempistiche rigorose fintanto che non si raggiungerà una soluzione. In caso di grave inadempimento, la Commissione può addirittura risolvere gli accordi e recuperare il prefinanziamento.
In caso di impossibilità parziale o totale a realizzare una condizione per “circostanze oggettive”, è previsto che si possa accordare una modifica con la Commissione. Tuttavia, esistono limiti e rischi, tra cui il fatto che durante la revisione, lo Stato dovrà continuare a conseguire gli obiettivi previsti dal Piano originario e che lo strumento anti-spread della BCE (Transmission Protection Instrument) potrebbe non essere attivabile.
Relativamente alle riforme, è difficile che si possano proporre modifiche nell’attuale fase congiunturale.
1. Le principali incertezze
La fattibilità economica degli investimenti programmati e il rispetto delle tempistiche sono le due principali incertezze legate all’implementazione del PNRR. A maggio, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio stimava che se il Piano fosse attuato con efficienza “media o bassa”, la perdita sarebbe quantificabile tra lo 0,9 e gli 1,8 punti percentuali di variazione di PIL in meno rispetto ai 3,2 punti di crescita aggiuntiva prevista a fine 2026, indicata nel Programma Nazionale di Riforma 2022 sotto l’ipotesi di “elevata” efficienza attuativa.
2. Traguardi e obiettivi
Finora il Piano italiano, in linea con quelli degli altri paesi europei, è stato attuato rispettando le scadenze concordate. Tutte le 51 condizioni previste per il 2021 e le 45 previste entro giugno 2022 sono state conseguite (la Commissione ha valutato positivamente la conformità di quest’ultime ed entro ottobre è attesa una decisione dall’ECOFIN) per consentire l’erogazione della seconda rata da 21 miliardi di euro.
Entro fine anno dovranno essere rispettate ulteriori 55 condizioni (4 nel terzo trimestre e 51 nel quarto) per poter ricevere la terza rata da 19 miliardi (Tabella A). Il Governo Draghi aveva dichiarato di puntare a raggiungere 29 condizioni entro fine ottobre, lasciando in capo al futuro Governo le restanti 26 condizioni. Stando alle ultime dichiarazioni governative, al 5 ottobre erano già stati conseguiti 21 dei 55 obiettivi e traguardi previsti per la fine dell’anno.
3. Quanto è stato speso effettivamente finora?
Se per ora traguardi e obiettivi sono in linea con il cronoprogramma, si è rilevato un ritardo nella capacità di spesa. La NaDEF 2022 indica che nel periodo 2020-2021 sono stati spesi solo 5,5 miliardi sui 18,5 programmati, ovvero meno di un terzo di quanto originariamente previsto nel DEF 2021 (Figura A). Per l’anno in corso è previsto un dimezzamento della spesa rispetto a quanto ipotizzato nel DEF di aprile scorso: dei 29,4 miliardi di euro se ne spenderanno probabilmente solo 15. Di conseguenza, la spesa dei 26,7 miliardi di mancate attuazioni nel triennio 2020-2022 è rinviata agli anni successivi, con un aumento consistente nel biennio 2025-2026.
Purtroppo, la NaDEF non riporta informazioni utili né per individuare le voci di spesa rinviate, né la nuova composizione di spesa per ciascun intervento in ciascun anno. Per esempio, se originariamente nel 2023 erano previste misure per 38,7 miliardi di spese, ora queste sono state aumentate a 40,9. Però, in assenza di informazioni su quali siano le singole misure riprogrammate e in quali anni, è plausibile che lo slittamento dei progetti non realizzati nel 2020-2022, abbia a sua volta fatto slittare alcuni progetti del 2023 agli anni successivi. Pertanto, non sono più chiaramente identificabili gli interventi che comporranno la spesa di 40,9 miliardi del prossimo anno.
Nel complesso, l’entità del rinvio è preoccupante se si pensa che il ritardo di spesa da parte dello Stato implica che queste risorse arriveranno ai soggetti attuatori del Piano (tra cui gli enti locali) e ai beneficiari finali delle misure (tra cui le imprese) più tardi del previsto e insieme alle altre risorse che si era programmato di spendere in quegli anni. Tuttavia, almeno due fattori potrebbero giustificare i rinvii di spesa osservati:
A. potrebbe darsi che alcuni investimenti siano stati realizzati, ma non siano ancora stati rendicontati adeguatamente su REGIS, il sistema di monitoraggio e rendicontazione “bottom-up” attivo da luglio, dove i soggetti attuatori del Piano caricano i dati sullo stato di avanzamento dei singoli progetti. Questa ipotesi è tanto più probabile per quegli interventi che erano stati avviati prima dell’approvazione del PNRR, già nel 2020-2021, e per i quali si prevedeva che i finanziamenti nazionali sarebbero stati sostituiti con le risorse del Piano. Per questi appare piuttosto improbabile che le risorse non siano state ancora spese.
B. per certi investimenti la programmazione originariamente ipotizzata potrebbe non essere stata coerente con i rispettivi traguardi e obiettivi del Piano. Sin dall’origine non sono stati chiari i criteri con cui le risorse sono state quantificate e distribuite temporalmente per ciascun investimento, non essendoci alcuna relazione tecnica sottostante. Quindi, è probabile che gli importi non fossero commisurati alle reali necessità e alla capacità di spesa della pubblica amministrazione.
La Relazione al Parlamento del 5 ottobre 2022 sembra confermare le precedenti ipotesi. In merito alla prima ipotesi, il sistema REGIS riporta soltanto le spese per cui sia stata anche verificata e certificata la piena conformità alla normativa del PNRR. Per questa ragione figurano interventi per complessivi 11,7 miliardi, relativi per lo più a “progetti in essere” antecedenti al Piano: Infrastrutture e trasporti (3,6 miliardi), Transizione 4.0 (3 miliardi), Ecobonus-Sismabonus (2,8 miliardi), Resilienza e valorizzazione dei territori comunali (1,2 miliardi), Scuole innovative (396 milioni), Rifinanziamento Fondo SIMEST (398 Milioni), Gestione risorse idriche (181 milioni), Digitalizzazione (128 milioni). Il Governo si attende che la spesa effettivamente erogata alla fine dell’anno sarà in linea con le previsioni. Invece, in merito alla seconda ipotesi, ossia che la programmazione delle spese non fosse adeguatamente calibrata, non è presente una chiara motivazione, ma viene ammesso che la mancanza di erogazioni è in linea con le scadenze previste dal Piano. Quindi, la revisione sembrerebbe legata al fatto che non erano state correttamente programmate in origine.
D’altronde qualche riprogrammazione era verosimilmente da mettere in conto: il Piano è stato approvato a metà 2021 e solo dal 2022 sono state introdotte misure di supporto agli enti locali per facilitare e velocizzare gli iter burocratici. A questi si sono aggiunti altri fattori, illustrati qui di seguito, che potrebbero influenzare il raggiungimento di questi importi nei tempi previsti.
4. Fattori negativi
Nonostante gli interventi governativi, permangono rischi e incertezze di inizio anno legati al deterioramento della congiuntura economica.
Tra i vari interventi governativi, il più rilevante riguarda i DL 50/2022 e 115/2022, con i quali sono stati stanziati circa 9 miliardi di risorse nazionali per contrastare gli extracosti. Le tempistiche sono piuttosto strette: entro il 16 novembre il MEF deve emanare una graduatoria con le opere ammesse ai fondi a cui dovranno seguire gare o procedure di affidamento avviate entro il 31 dicembre. Però il vero nodo critico riguarderà il 2023, anno per il quale il nuovo governo dovrà stanziare nuove risorse per la revisione dei prezzi.
I rincari soprattutto dell’energia possono non rendere conveniente alle imprese partecipare alle gare di appalto, lasciando di fatto alcuni progetti irrealizzabili: sarebbe quindi auspicabile riadeguare i prezzi delle gare con finanziamenti reperiti o a livello nazionale (a partire dalla prossima Legge di bilancio) o a livello europeo (per esempio nell’ambito del RePowerEU).
La carenza di alcuni materiali può rendere concretamente difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti. L’associazione dei costruttori edili ANCE ha quantificato i maggiori costi per le imprese derivanti da rincari e carenza di materiali in circa il 35% in più rispetto ai prezzi già aggiornati a inizio 2022.
La scarsa convenienza economica di alcuni bandi ha sicuramente contribuito a che diverse gare d’appalto andassero deserte (es. alcuni bandi 5G). Si è quindi provveduto a modificare certe condizioni di gara, ma in alcuni casi ciò ha comportato ritardi nell’attuazione.
Permane poi il problema strutturale dell’effettiva capacità delle amministrazioni, specie territoriali, di bandire ed eseguire le gare d’appalto successive alla ripartizione dei fondi PNRR. Il raggiungimento quantitativo di alcuni traguardi potrebbe essere minacciato dalle elevate differenze tra le performance delle PA incaricate di realizzarli.
5. Fattori positivi
Il 2022 è l’anno in cui il PNRR prevede l’aggiudicazione di contratti per numerosi investimenti, mentre dal 2023 si entrerà con maggior vigore nella fase di cantierizzazione delle opere. Un segnale incoraggiante viene dai numeri delle opere pubbliche, tra cui anche quelle finanziate con risorse del PNRR: secondo il Rapporto di CRESME per fine anno si potrebbero raggiungere importi superiori ai 55 miliardi, in aumento di circa il 20% rispetto al 2021. La Relazione al Parlamento indica che quasi tutte le misure del PNRR sono state avviate o risultano avviate in via preliminare con almeno un atto amministrativo, date le loro caratteristiche di elevata complessità operativa o procedurale. Inoltre, risultano attivate 334 procedure per un importo complessivo di quasi 95 miliardi, di cui oltre 32 miliardi appartenenti a 43 procedure ancora aperte.
Parte del risultato deriva da alcuni soggetti attuatori del Piano, per esempio RFI, che hanno scelto di anticipare con risorse proprie le maggiori coperture amministrative richieste per fronteggiare i rincari, consentendo così di avviare subito le gare, in attesa di ricevere poi le risorse del PNRR.
A questi fattori, vanno aggiunti l’operato di task force specifiche, la creazione di uno sportello del MEF (“Capacity Italy”) a supporto degli enti locali, l’inserimento di tecnici nella PA, l’effetto delle riforme che contribuiscono ad accelerare la capacità di spesa.
6. Cosa succede in caso di ritardo nel raggiungere una condizione prevista
In caso di ritardo, si potrebbe concordare un posticipo ragionevole con la Commissione. Se uno Stato membro si rendesse conto di non riuscire a rispettare una scadenza potrebbe concordare con la Commissione un posticipo della stessa (es. dal 31 dicembre 2022 a 31 gennaio 2023). Una volta raggiunta anche la condizione posticipata, come di consueto, lo Stato membro presenterà la richiesta di pagamento della rata e sottoporrà i traguardi e obiettivi alla valutazione della Commissione.
7. Cosa succede in caso di mancato raggiungimento
In caso di un mancato raggiungimento di un obiettivo, la rata è sospesa. Potrebbe altresì accadere che la Commissione giudichi che un traguardo o obiettivo in scadenza non sia raggiunto dallo Stato in maniera soddisfacente. In tale circostanza, il pagamento di una parte o della totalità della rata viene sospeso e inizia un dialogo con la Commissione, scandito da tempistiche rigorose, in cui lo Stato membro è chiamato a presentare le proprie osservazioni e ad agire entro certi termini per evitare una sospensione dei pagamenti via via crescente e proporzionata al grado di inazione. In caso di grave inadempimento, la Commissione può addirittura risolvere gli accordi di prestito e recuperare l’intero prefinanziamento. Invece, se lo Stato membro decide di adottare le misure necessarie per raggiungere il traguardo o l’obiettivo mancante, riceverà il pagamento non appena la Commissione giudicherà soddisfacenti i risultati raggiunti.
8. Cosa succede in caso di impossibilità a realizzare il Piano
Esistono alcune fattispecie in cui è possibile modificare il PNRR, tra cui il caso in cui circostanze oggettive ne impediscano la realizzazione. Infatti, il Regolamento europeo del dispositivo Recovery and Resilience Facility ha previsto che, qualora “circostanze oggettive” impediscano la realizzazione parziale o totale degli interventi previsti nel PNRR, uno Stato possa chiedere alla Commissione una modifica o sostituzione di alcuni interventi e dei relativi traguardi e obiettivi. Tra le “circostanze oggettive” rientrano l’elevata inflazione e la crisi energetica attuale. In ogni caso, in sede di eventuale revisione, la Commissione valuterà ogni singola misura proposta chiedendo indicazioni dettagliate sul perché una certa condizione non è più raggiungibile e altre informazioni per valutare al meglio le modifiche.
9. Ma cisono molti limiti e rischi che occorre tenere ben presente:
a. durante il processo di revisione, lo Stato deve continuare a conseguire gli obiettivi previsti dal Piano originario;
b. le modifiche proposte non dovrebbero incidere sul livello di “ambizione” del Piano iniziale, specialmente dal lato delle riforme;
c. le misure sostitutive dovrebbero contribuire a raggiungere anche gli obiettivi previsti dal REPowerEU;
d. l’impatto positivo sul potenziale di crescita dello Stato potrebbe diminuire se alcuni investimenti venissero ridimensionati o annullati;
e. in caso di sospensione dei finanziamenti, i cantieri aperti potrebbero bloccarsi, con conseguenti problemi finanziari per le imprese coinvolte;
f. se, durante il dialogo per modificare il Piano, lo Stato smette di rispettare le scadenze, il nuovo strumento di politica monetaria della BCE per contrastare gli spread (il Transmission Protection Instrument) potrebbe non essere attivabile. Infatti, lo strumento prevede, tra le altre cose, che il Paese stia rispettando gli impegni previsti dal PNRR.
10. Le riforme
Sulle riforme rimane essenziale procedere celermente: ci sono 23 condizioni, relative alle riforme, da completare entro la fine del semestre. Una loro revisione è alquanto improbabile. Gli iter burocratici parlamentari, di per sé travagliati, sono soggetti a forti pressioni politiche e si tende a procedere con decreti-legge, talvolta rimandando alcune decisioni cruciali.
Sono aumentati il rischio di non rispettare le tempistiche concordate e il rischio di introdurre modifiche sostanzialmente inefficaci per alcune riforme. Questa preoccupazione giustifica la scelta del Governo Draghi di accelerare su alcune riforme (es. Legge sulla Concorrenza), anche in virtù della “clausola di non reversibilità” che non consente di introdurre cambiamenti nel contesto di misure adottate precedentemente, proprio per evitare “annacquamenti” o “abrogazioni”. Tra le sfide centrali ci sono l’adozione dei provvedimenti attuativi per la legge sulla concorrenza, degli atti delegati per le riforme della giustizia civile, penale e del quadro in materia di insolvenza e l’entrata in vigore di un piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso in tutti i settori economici.
Parità di genere e auspici per la Vigilanza Privata con Meloni Presidente
di Maria Cristina Urbano
Lo scorso 22 ottobre hanno giurato i ministri del primo Governo della storia della Repubblica Italiana presieduto da una donna, Giorgia Meloni. Si tratta di un fatto di straordinaria importanza storica, speriamo uno degli ultimi tasselli per portare a compimento il lungo e faticoso percorso verso una reale parità di genere, in grado di mettere a sistema le enormi risorse, troppo spesso inespresse, di capacità ed esperienza proprie del mondo femminile.
Qualche anno fa, meritoriamente, l’allora presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini fece allestire al primo piano di Montecitorio, nell’anticamera della più importante sala del palazzo, quella della Regina, la Sala delle Donne. Erano affisse le foto di tutte le donne ad aver ricoperto per la prima volta gli incarichi più importanti dello Stato: le prime parlamentari, le prime sindache, la prima ministra, la prima presidente di Regione, la prima presidente della Camera dei deputati. Insieme ad esse, alcuni specchi che colpivano per la presenza di una targhetta esplicativa, ma per l’assenza di un ritratto: la prima presidente del Senato, la prima presidente della Corte di Cassazione, la prima presidente del Consiglio, la prima presidente della Repubblica. Ebbene, era il 2016 e da allora in circa 6 anni sono state riempite 3 di queste 4 caselle, grazie alla tenacia e alle grandi capacità professionali di Maria Elisabetta Alberti Casellati, Marta Cartabia e, appunto, Giorgia Meloni. Colpisce certamente che una tematica identitaria per la narrativa dei partiti di sinistra degli ultimi anni abbia trovato sostanza nell’ambito di altre famiglie politiche, ma non è questo il punto. La politica dell’alternanza destra-sinistra, conservatori-progressisti, democratici-repubblicani ha storicamente portato benefici a qualunque sistema politico l’abbia sperimentata. Mutatis mutandis, sulla scorta dello stesso principio, il fatto positivo che sempre più donne, sempre più spesso, ricoprano ruoli di responsabilità sino a poco tempo fa riservati al solo sesso maschile costringerà la nostra società a considerare naturale ciò che prima era l’eccezione alla regola, garantendo uno sviluppo equilibrato del nostro Paese, dal punto di vista non solo economico ma anche socio-culturale. Il fatto che dalla scorsa domenica sia una donna a decidere l’indirizzo politico degli italiani, sono convinta costituirà un giro di boa, un punto di non ritorno.
D’altronde i dossier programmatici sui quali all’interno della maggioranza di Governo permangono punti di vista divergenti sono da brividi: la guerra in Ucraina con le relative sanzioni russe, le politiche di bilancio e di debito pubblico, il fisco e la flat tax, l’autonomia differenziata, i diritti civili. La presidente Meloni sarà quindi chiamata da subito ad affrontare temi tanto complessi, ma da un punto di vista che, almeno per la classe politica, rischia di essere disorientante: il punto di vista di una donna, una donna alla quale tutte le aree politiche riconoscono la capacità e la caparbietà di chi è arrivata in cima facendo tutto da sola.
Il mio, nostro di ASSIV, auspicio è che anche i dossier che riguardano più da vicino la vigilanza privata potranno beneficiare di un approccio nuovo, scevro da rigidità culturali e semplificazioni di comodo. Penso, ad esempio, allo spinoso dossier della sicurezza alla persona per le GPG, che costringe il sistema sicurezza del nostro Paese in coda nell’ambito dei Paesi Occidentali, incapace di scrollarsi di dosso schemi concettuali vecchi di almeno 80 anni. Ma i dossier aperti sono molteplici, a partire da quanto è stato fatto nel corso della Legislatura appena conclusasi, anche grazie al costante lavoro di ASSIV, come la possibilità di garantire la protezione degli assets delle imprese italiane all’estero per mezzo di personale degli istituti di vigilanza, oppure al serrato confronto per garantire la corretta applicazione delle norme di settore, anche e soprattutto per quanto riguarda i principi contenuti nel Codice degli Appalti in materia di gare per servizi di sicurezza, caratterizzati da alta intensità di manodopera.
Ci sarà tempo nei prossimi mesi per un confronto puntuale tra il nostro settore e i ministeri di riferimento, su tutti il Viminale. Ma non oggi.
Qualcuno obietterà, e di scritti se ne sono letti diversi negli ultimi giorni, cose del tipo “non mi interessa che sia donna o uomo, l’importante è che sia brava o bravo”, ultima versione del meno recente “non è con le quote rosa che bisogna andare avanti, ma con il merito”. Si, tutto vero, scontato addirittura, ma sulla carta. Non esiste la controprova, tuttavia è presumibile che l’approvazione di leggi che hanno imposto un corretto bilanciamento di genere nei consigli di amministrazione, facilitando una rinnovata consapevolezza in merito all’apporto insostituibile delle donne in tutti i settori, siano alla base di quanto è accaduto negli ultimi tempi. Pertanto il ritornello di questi giorni è quantomeno fuori luogo. Festeggiamo invece il fatto che anche l’Italia abbia la sua prima presidente del Consiglio donna, poi penseremo al resto.
Sono lontani i tempi in cui Ettore e Andromaca, pur nel riconoscimento di una complementarietà di ruoli tra uomo e donna, esemplificavano tuttavia una rigida separazione degli stessi, sicché al culmine della tragedia che si apprestavano a vivere pensavano il primo alla gloria imperitura, la seconda alla casa e al figlio Astianatte. Quanto sta accadendo negli ultimi anniin Italia dimostra che uomini e donne si avviano finalmente ad avere pari opportunità. Percorso prodromico, è quanto ci auguriamo, all’ultimo tassello che ancora manca perché possa dirsi che almeno in ambito istituzionale la parità è stata raggiunta, quello della presidenza della Repubblica. Qualche anno fa qualcuna ci arrivò vicina, se la prossima inquilina del Quirinale sarà una donna lo si dovrà anche a lei.Buon lavoro, Presidente Meloni!