Istat, la contrazione del PIL del 2020 si attesta all’8.9%
La stima aggiornata dei conti economici nazionali conferma la contrazione di entità eccezionale dell’economia nel 2020, con un tasso di variazione del Pil del -8,9% a fronte di un incremento dello 0,4% nel 2019. Dal lato della domanda, a trascinare la caduta del Pil è stata soprattutto la domanda interna, mentre la domanda estera e la variazione delle scorte hanno fornito contributi negativi molto più limitati.
Dal lato dell’offerta di beni e servizi, si confermano le forti contrazioni del valore aggiunto in agricoltura, nelle attività manifatturiere ed in alcuni comparti del terziario.
L’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche è pari al 9,6% del Pil, in netto peggioramento rispetto al 2019, soprattutto a causa delle misure di sostegno introdotte per contrastare gli effetti della crisi.
A colloquio con Maria Cristina Urbano, Presidente dell’associazione nazionale di categoria delle Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari, per comprendere meglio il fondamentale ruolo svolto nell’ambito della sicurezza sussidiaria e e le problematiche del comparto.
di Laura Reggiani (Federpol Mag)
All’associazione di categoria delle imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari aderiscono le più importanti realtà del panorama nazionale. L’associazione si occupa di tutelare gli interessi generali della categoria a livello politico e istituzionale e di promuovere l’immagine del comparto della Vigilanza Privata nella sua duplice valenza di attività imprenditoriale del terziario avanzato nonché di sicurezza sussidiaria e complementare alle Forze dell’Ordine. Alla guida dell’associazione troviamo Maria Cristina Urbano che, da sempre impegnata nell’associazionismo di settore, ha contribuito all’avvio del processo di semplificazione che ha portato nel 2006 alla nascita di ASSIV.
Presidente Urbano, come è cresciuta Assiv dalla sua fondazione avvenuta nel 2006? Quali sono state le tappe che hanno caratterizzato questi primi 15 anni di vita associativa?
Quando nel 2006 decidemmo di dar vita a questa associazione datoriale, aspirando a rappresentare con efficacia il comparto nei confronti di tutti gli interlocutori istituzionali, eravamo tuttavia consapevoli che la strada da percorrere sarebbe stata molta e spesso in salita. A distanza di 15 anni da quella scelta così gravida di significato e conseguenze, possiamo affermare con soddisfazione di essere divenuti il principale riferimento del settore della vigilanza privata in Italia.
Abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti del nostro Past presidente Matteo Balestrero per essersi dedicato al consolidamento di Assiv nel corso dei primi 9 anni.
Successivamente, con l’arrivo dei primi riconoscimenti esterni, abbiamo aderito a Confindustria e poi, durante la fase di riforma e di semplificazione della realtà confindustriale, abbiamo deciso di seguire le indicazioni e di associarci ad ANIE, prima federazione per importanza nella galassia confindustriale. La nostra assemblea pubblica del 2017 ha rappresentato l’inizio di una nuova fase. In quell’occasione parteciparono l’ex ministro della Difesa Mario Mauro e l’ex Sottosegretario Angelo Tofalo che, moderati dall’allora direttore del Tempo Gian Marco Chiocci, si confrontarono su “Le nuove frontiere della sicurezza partecipata”. La politica, che già in alcune occasioni si era interessata alla vigilanza privata, da allora ha avviato con noi un confronto costante e costruttivo. Nelle ultime due legislature sono state presentate molteplici proposte di legge che si pongono l’obiettivo di fornire risposte alle istanze del comparto e prima del lockdown la proposta di legge sulla vigilanza privata all’estero è stata incardinata nei lavori della I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati e nel novembre 2019 siamo stati auditi in Parlamento.
Assiv riunisce le Imprese che si occupano di Vigilanza Privata e di Servizi Fiduciari. Chi sono nel concreto le aziende vostre associate? Quanto vale il vostro comparto?
Nel nostro Paese la sicurezza privata è istituzione antica: nell’Italia post-unitaria trova subito un cenno di regolamentazione nella vigilanza campestre, a tutela dei latifondi e delle attività agricole, poi diviene anche vigilanza urbana, ma sempre e solo limitatamente a tutela dei beni, mobili ed immobili.
Il crescente bisogno di sicurezza di una classe imprenditoriale in espansione si scontrò allora con la impossibilità per lo Stato di fornire adeguata protezione ai mezzi ed alle attività che quella classe esprimeva, utilizzava e produceva, dovendo concentrare le risorse per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. Di qui la necessità di autorizzare i corpi di vigilanza privata, organizzati quali aziende di natura commerciale, a fornire servizi di sicurezza armata in favore di terzi e la corrispondente esigenza di controllare e disciplinare una forza sentita come “concorrente” dallo Stato stesso.
Noi oggi siamo questo: aziende che contribuiscono al sistema della sicurezza del Paese.
Oggi sono associate ad Assiv circa 80 aziende, le più importanti del comparto della vigilanza privata e dei servizi fiduciari, che rappresentano un fatturato aggregato di 2.5 miliardi di euro, ovvero intorno al 60% di quanto fatturato dal comparto della sicurezza privata. In generale, oggi l’Italia può contare su circa 50.000 Guardie Particolari Giurate e di più del doppio di personale fiduciario, per l’80% dipendenti da Istituti di Vigilanza Privata, che ASSIV stima essere poco meno di 600 realmente attivi e presenti sul territorio nazionale. Di questi non tutti pienamente qualificati, purtroppo…
Quali caratteristiche deve possedere un’impresa che vuole operare “regolarmente” nel vostro settore? A quali requisiti deve sottostare? Deve possedere delle certificazioni?
La disciplina della nostra attività si innesta in quella, tipicamente riservata allo Stato, di mantenimento dell’ordine pubblico e di prevenzione e repressione dei reati, e trova la sua disciplina nel Testo Unico di Pubblica Sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) e nel suo Regolamento di esecuzione (R.D. 6 maggio 1940, n. 635) che limitano il campo di attività alla tutela dei beni.
La vigilanza privata ha conosciuto, nell’ultimo decennio, un profondo cambiamento del quadro normativo: nel dicembre 2007 l’attesa condanna della Corte di Giustizia Europea (Sentenza 13 dicembre 2007, n. C.465 -05) ha giudicato contraria al Trattato la disciplina del settore, innescando l’avvio della riforma, caratterizzata dal forte ridimensionamento della discrezionalità da parte dei Prefetti nel rilascio delle licenze necessarie per lo svolgimento dell’attività, e la determinazione oggettiva di una serie di requisiti minimi di qualità, sia per quanto riguarda imprenditori e istituti, sia per quanto attiene alle guardie, la mancanza dei quali non consente il rilascio, o il rinnovo, della licenza.
La Vigilanza Privata svolge un ruolo di sicurezza sussidiaria e complementare a quella svolta dalle Forze dell’Ordine. Quali sono gli ambiti operativi delle vostre imprese?
Le GPG sono comandate in compiti di vigilanza armata presso siti sensibili (tribunali, banche, ospedali, impianti di produzione di energia elettrica, impianti di stoccaggio di combustibile, caveau, stazioni, aeroporti, metropolitane e porti, che sono per la maggioranza vigilati con l’ausilio delle società di sicurezza); coprono in pattuglia, per scopi di tutela del patrimonio degli abbonati, aree vastissime del Paese, soprattutto nelle ore notturne, svolgendo un insostituibile servizio di controllo del territorio; sono le uniche ad effettuare il trasporto valori; le GPG dipendono da istituti di vigilanza, sono formate professionalmente secondo quanto prescrive la norma; sono armate, sempre in contatto con centrali operative di ultima generazione, a loro volta collegate con le centrali di polizia e carabinieri. Contribuiscono fattivamente, insomma, alla sicurezza del Paese.
La riforma del settore, infine, ha definito lo status giuridico della Guardia Particolare Giurata quale incaricata di pubblico servizio.
Maria Cristina Urbano, Presidente ASSIV
Si è parlato anche della possibilità da parte delle vostre imprese di svolgere servizi di anti-pirateria a bordo delle navi. È corretto?
Si, è corretto. Il D.L. 107 del 2011 ha aperto alla possibilità per le navi battenti bandiera italiana che transitano in aree riconosciute dalle autorità nazionali ed internazionali come ad alto rischio, di impiegare operatori della sicurezza privata armati, con decreto di guardie giurate. Il provvedimento, convertito con legge 130/2011, rappresenta il primo e per ora unico caso in Italia di legittimazione del contributo di operatori privati italiani alla sicurezza nazionale in scenari internazionali.
Nel marzo del 2015 la Difesa ha cessato l’impiego dei militari a bordo dei mercantili che incrociano nelle aree a rischio pirateria, talché solo la vigilanza privata assicura questo servizio agli armatori. La motivazione, fornita dal Ministro, è stata rinvenuta nell’“avvenuto perfezionamento delle procedure che consentono di ricorrere alla difesa dei mercantili con squadre fornite da compagnie private di sicurezza”.
Da tempo invocate la necessità di svincolare le guardie giurate dalla sola tutela del patrimonio per allargarla anche a quella della persona. A che punto siete con questa battaglia?
A tal proposito vorrei fare una premessa: oggi una serie di leggi speciali allarga il campo di intervento delle GPG a compiti e contesti, come più sopra ricordato, che non possono in alcun modo definirsi di tutela del patrimonio. Ne cito due: la L. 28 febbraio 1992, n. 217 ha consentito “l’affidamento in concessione dei servizi di controllo esistenti nell’ambito aeroportuale, per il cui esplicamento non è richiesto l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego di appartenenti alle forze di polizia”; il D.L. 27 luglio 2005, n. 144: Misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale, all’art. 18 dispone che “ferme restando le attribuzioni ed i compiti dell’autorità di pubblica sicurezza, degli organi di polizia e delle altre autorità eventualmente competenti, è consentito l’affidamento a guardie giurate dipendenti o ad istituti di vigilanza privata dei servizi di sicurezza sussidiaria nell’ambito dei porti, delle stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, delle stazioni delle ferrovie metropolitane, e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, nonché nell’ambito delle linee di trasporto urbano, per il cui espletamento non è richiesto l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego di appartenenti alle Forze di polizia”.
Si tratta di leggi speciali la cui promulgazione trova la sua ratio nella necessità di razionalizzare ed ottimizzare l’impiego del personale appartenente alle Forze dell’Ordine, sempre più insufficiente per l’espletamento della molteplicità di servizi cui è destinato. Per le stesse ragioni, e non solo, Assiv si batte da tempo affinché questi precedenti possano essere ricompresi in una più complessiva ed organica regolamentazione dell’attività di sicurezza, volta anche alla tutela della persona, sempre, si intende, in forma sussidiaria e complementare alle Forze dell’Ordine e sotto il coordinamento di queste ultime. A differenza di altre istanze, che hanno riscontrato attenzione e accoglimento da parte delle forze politiche, quella della tutela alla persona (o close protection nel gergo internazionale) si scontra contro una barriera di natura culturale che ad oggi appare ancora insormontabile! Piuttosto si preferisce proseguire sulla strada delle deroghe, per compiti specifici, al principio generale sancito dal TULPS. Tuttavia, nel medio-lungo periodo, questa chiusura aprioristica e, per molti versi, anacronistica, impedirà alle imprese del comparto di svilupparsi, come sarebbe necessario, e come avviene in tutti i Paesi occidentali, per dare compiuta attuazione ad una efficace partnership tra pubblico e privato.
Quali ricadute ha avuto la pandemia sulle imprese del comparto? Com’è oggi la situazione dal punto di vista occupazionale?
Il mondo della vigilanza privata non è ancora in grado di quantificare esattamente le effettive ricadute negative sul comparto a seguito della crisi sanitaria ed economica da Covid-19: crollo nei consumi, conseguente flessione della produzione, chiusura prolungata delle attività commerciali, tutto ciò ha imposto un dazio pesante all’economia del Paese. Nonostante la sensibile ripresa degli ultimi mesi, è prevedibile che ciò significherà diffusa insolvenza e minore necessità di vigilanza privata, la cui entità, se dovrà essere misurata, lo sarà soltanto con ampio ritardo rispetto l’insorgere della crisi. Ad oggi le imprese di Assiv non sperimentano significative flessioni nei livelli occupazionali. Speriamo di riuscire ad esprimere la stessa resilienza anche nei mesi che verranno, quando morderà l’onda lunga della crisi.
Anche le limitazioni alla circolazione del contante hanno impattato sul mondo di chi il contante lo trasporta. Qual è la situazione?
Non florida come ci augureremmo, ma con prospettive certamente migliori rispetto a qualche mese fa, quando il governo sembrava orientato a proseguire con i
mprovvida pervicacia nel suo programma cashless, del quale il piano Cashback ha rappresentato la pietra d’angolo. Fortunatamente il Governo Draghi ha deciso di non ignorare gli effetti distorsivi della misura, a fronte di vantaggi assai trascurabili. Assiv, a tal proposito, in linea con quanto affermato da analisti ben più autorevole di noi, su tutti Yves Mersch, già componente del Consiglio direttivo della BCE, sostiene da tempo che non è mai stato dimostrato che la limitazione all’uso del contante generi un risultato significativo nella lotta all’evasione fiscale, mentre è certo che sconsiderate misure restrittive provocano disorientamento in ampie fasce della popolazione e contribuiscono a determinare la crisi del settore del trasporto valori, che oggi impiega migliaia di persone, è parte integrante del più ampio comparto della sicurezza privata e ha investito capitali importanti per garantire altissimi standard a un servizio che resta centrale per la nostra economia.
Quali sono le problematiche più urgenti per il comparto? Come si stanno affrontando? Quali saranno invece le prossime sfide a cui la categoria sarà chiamata a rispondere?
Da un punto di vista di rapporti con l’esterno penso di aver già ampiamente risposto, mentre nei rapporti interni al comparto non posso esimersi dall’indicare nel rinnovo contrattuale un obiettivo di assoluta priorità. Il contratto nazionale è infatti scaduto da anni e quando sembrava che si fosse giunti ad un accordo che rispondesse alle esigenze delle parti, è arrivata la tragedia della pandemia. L’offerta rimodulata, per tener conto del mutato scenario, che come parte datoriale abbiamo presentato ufficialmente qualche settimana fa non è stata accolta dai sindacati, i quali sembra non si siano accorti che da inizio 2020 il mondo è cambiato.
In un momento storico in cui l’unica certezza è il bisogno di sicurezza, quali sono le richieste che fate al Governo alle Istituzioni a supporto del vostro ruolo?
Non abbiamo mai chiesto interventi contingenti, di breve respiro, ma riforme di sistema. Sintetizzando, direi:
Close protection. Possibilità per le GPG di svolgere attività a protezione delle persone fisiche, non solo dei beni, come peraltro alcune leggi speciali hanno già previsto; tutto ciò in linea con quanto già avviene nei principali paesi europei.
Utilizzo delle GPG per compiti di sicurezza e protezione degli asset italiani all’estero. Si tratta di un mercato, che vale 250 miliardi di dollari a livello mondiale, che si aprirebbe anche alle imprese italiane; oggi aziende come, ad esempio, ENI devono rivolgersi a contractor stranieri.
Difesa del contratto nazionale collettivo di lavoro maggiormente rappresentativo nei confronti del dumping contrattuale, i cui effetti si riverberano automaticamente su una politica di prezzi al ribasso a discapito delle qualità e delle professionalità degli operatori.
Europa Atlantica. Sicurezza e vigilanza privata. Intervista ad Alberto Pagani
Segnaliamo l’intervista ad Alberto Pagani, Deputato e componente della Commissione Difesa pubblicata sul sito di Europa Atlantica
Come cambiano le esigenze della sicurezza e il ruolo degli istituti privati di vigilanza? Una proposta di legge, per consentire gli istituti di vigilanza privata di operare all’estero, è al centro di questa intervista ad Alberto Pagani, uno dei deputati che ha presentato questa proposta di legge.
On. Pagani, insieme ai suoi colleghi Fassino e Miceli lei ha presentato una proposta di legge per consentire agli istituti di vigilanza privata di operare all’estero. Perché?
Molte aziende italiane lavorano fuori dai confini nazionali, anche in Paesi in cui le condizioni di sicurezza sono molto precarie, ed hanno la necessità di proteggere il loro personale e le loro strutture. Per altro la nostra legislazione impone al datore di lavoro l’obbligo di fare un’analisi del rischio e di adottare le misure necessarie per mitigarlo, giustamente. Non si capisce perché poi questi datori di lavoro debbano rivolgersi a società straniere, senza che lo Stato italiano possa garantire standard di formazione e sicurezza degli operatori, per adempiere ad un obbligo di legge. Si tratta per altro di un mercato molto importante ed il divieto per le società italiane di svolgere questa attività è una cosa del tutto insensata, che per altro danneggia l’erario in modo irragionevole. Le aziende italiane pagano le tasse all’Italia, quelle straniere no.
Nel settore del contrasto alla pirateria marittima però è possibile impiegare a bordo di navi civili team armati privati, no?
Esatto e non si capisce perché in mare sì ed in terra no. Dopo la disgraziata vicenda dei due fucilieri di marina nell’Oceano Indiano, che si poteva certamente evitare, credo che sia chiaro a tutti che la possibilità di avvalersi di servizi di protezione attiva da parte di Istituti di Vigilanza Privata, che la legge 130/11 ed il DM 266/12 consente agli armatori, sia giusta ed opportuna. Semmai non ha senso che sia la Marina Militare a mettere a disposizione di singole aziende private i fucilieri del reggimento San Marco, dato che l’Italia è già impegnata in missioni navali, come quella del golfo di Guinea, per il contrasto della pirateria. L’armatore è giusto che sostenga il costo del servizio di protezione della sua nave e del suo carico, fornito da un provider privato, che può anche soddisfare meglio le sue esigenze di copertura delle rotte e di flessibilità operativa. E’ bene che vi sia un’integrazione tra l’impiego delle risorse pubbliche e dei mezzi delle Forze Armate nelle missioni internazionali, che sono a carico della fiscalità generale, e di operatori di sicurezza privati, il cui costo va carico dell’armatore, per un servizio di protezione specifico. In questo modo si può lavorare davvero sulla professionalizzazione degli operatori, a garanzia di tutti.
Può spiegarlo meglio?
Faccio qualche esempio, per essere più chiaro. Un operatore imbarcato per prevenire attacchi di pirateria marittima ha bisogno di una formazione molto specifica, non basta che impari a sparare con il fucile. Anzi, l’uso dell’arma è l’ultima soluzione che va presa in esame, dopo aver tentato di utilizzare tutti gli altri mezzi possibili, anche per evitare esiti analoghi al caso dei due marò. Un’azione di pirateria marittima prevede l’abbordaggio di una nave in movimento, che è cosa piuttosto complessa, perché il comandante della nave cercherà di impedirlo aumentando la velocità di navigazione. Se l’attacco avviene per mezzo di due imbarcazioni che tendono una cima in trazione attraverso la prua della nave, per essere trascinate sottobordo e scalarne la murata con una scala o con un rampino ed una fune, prima di sparare agli aggressori, se non devono rispondere ad un fuoco di copertura, esistono altre manovre che si possono attuare. E’ però necessario che gli operatori abbiano ricevuto il corretto addestramento, conoscano i mezzi della nave ed abbiano simulato l’aggressione e la difesa almeno qualche volta. Si possono utilizzare gli idranti della nave, che sparano acqua ad una pressione di almeno 3 o 4 bar, sotto la quale è difficile restare aggrappati ad una scala. Per avere operatori di sicurezza adeguatamente professionalizzati, e non dei pistoleri esaltati, bisogna investire un po’ di tempo e di denaro nella formazione, e lo deve fare il privato e certificare il pubblico. Questo dovrebbe essere l’obiettivo dello Stato e della legge. Si potrebbero fare tanti altri esempi, per altre attività di sicurezza, che evidenziano come una normativa approssimativa produca risultati approssimativi.
Prego, li faccia pure…
Il nostro ordinamento ad esempio non prevede la figura della guardia del corpo, anche se poi nei codici ateco compare misteriosamente citata. Potendo proteggere le cose e non le persone vengono inventati espedienti all’italiana, come al solito, per aggirare le irrazionali limitazioni di legge e svolgere egualmente l’attività, dichiarando ad esempio di proteggere il rolex al polso del cliente, invece della persona. E’ semplicemente una sciocchezza, che impedisce allo Stato di pretendere e verificare l’adeguata formazione e professionalità dall’operare che svolge comunque quel compito formalmente inesistente, che sarebbe teoricamente un’usurpazione di funzione pubblica. Formalmente la protezione delle persone è demandata all’ufficio centrale interforze per la sicurezza personale e al servizio centrale di protezione, perché è competenza esclusiva delle forze di polizia italiana, che per altro sono cronicamente sotto organico. Nella realtà esistono servi di scorta privata di questo tipo, ed esistono anche società straniere che formano ed addestrano a questi compliti, con standard di livello altissimo, certamente superiore a quello della maggior parte degli operatori delle forze di polizia, soprattutto nella protezione non armata. Lo Stato finge di non saperlo, ne resta ipocritamente all’oscuro, non contemplando nemmeno la possibilità che vi siano operatori privati che fanno questo mestiere. Meno ipocrisia, più aderenza alla realtà e più concretezza sarebbero utili a migliorare il sistema complessivo e a garantire più sicurezza per tutti.
Questa attenzione al tema della sicurezza privata a cosa è dovuta?
Credo che la terminologia sia ingannevole perché non esiste una sicurezza privata disgiunta da quella collettiva. La sicurezza non si può distingue in pubblica e privata, perché si tratta di un bene comune, che può essere fruito solo collettivamente. Questo bene, a vantaggio di tutta la società, viene garantito dall’integrazione del lavoro delle forze armate e forze di polizia e del contributo che viene dal privato e dalla società civile. È chiaro che quando un istituto di credito si avvale di un servizio di vigilanza privata, e lo paga per tutelare il suo interesse, contribuisce anche al bene comune della sicurezza. Così come fa il cittadino che si dota di un sistema antifurto per proteggere la sua abitazione. Sono azioni convergenti, non contrastanti, che vanno integrate ed armonizzate per ottenere la massima efficacia possibile.
La politica può fare qualcosa per armonizzarle?
Non soltanto può, ma deve. Se ogni parte, componente di un qualsiasi sistema, vede solo il suo ambito di lavoro e non cerca di integrarlo con quello delle altre parti, il risultato è sicuramente modesto, ed il sistema è conseguentemente confusionario. Ciò che si può ottenere impiegando i mezzi e le risorse disponibili in maniera razionale e coordinata è molto di più di quanto si ottiene impiegando gli stessi in maniera casuale, perché ciascuno pensa solo per sé. In natura le termiti scavano quelle maestose opere architettoniche che sono i loro termitai senza avere alcun progetto preliminare, o disegno organico dell’opera, ma nelle realtà umane bisogna pensare le cose, programmarle e pianificarle, per non farle a caso.
Che cosa propone?
Propongo un disegno organico che coinvolge pubblico e privato, per innalzare gli standard qualitativi dei servizi, anziché dequalificarli, come invece spesso accade. Oggi la tecnologia offre una nuova gamma di possibilità che fino a poco tempo fa era pura fantascienza. Ci sono sistemi di videosorveglianza innovativi, collegati a software analitici, che possono essere collocate in postazioni fisse o equipaggiare droni, sia terrestri che aerei, che moltiplicano le capacità di sorveglianza, la rendono più discreta, molto meno visibile, e quindi più efficace. Ci sono aziende che sono perfettamente in grado di svolgere attività di cyberintellgence molto raffinata, ma non c’è un quadro normativo che rispecchi un’idea organica ed una visione strategica del settore.
E quindi cosa si deve fare?
Le tecnologie sono tanto più utili quanto più vengono utilizzate in maniera intelligente e coordinata, soprattutto per funzioni di prevenzione, o di rapido intervento. L’uso della tecnologia però richiede abilitazioni, necessità di capacità che vanno acquisite con formazione, con addestramento specifico, e con percorsi di abilitazione e di certificazione che sono necessari. Ciò interessa gli organi di sicurezza statali quanto le imprese private del settore, che se qualificano il loro personale possono impiegarlo in maniera più razionale ed utile e pagarlo meglio. Io comincerei da qui, per ripensare il sistema con una visione unitaria. Può essere utile una revisione normativa, ma questa non credo che debba venire prima della condivisione di un progetto politico, di un accordo strategico tra pubblico privato per modernizzare il sistema della sicurezza nel suo complesso. Questo lo dovrebbe promovere il Ministero degli interni, a mio parere. Non serva nemmeno spendere di più, a mio parere, basta spendere meglio, per ottenere di più.
Come si può qualificare quindi il contributo alla sicurezza offerto dal settore privato?
Innanzitutto sarebbe meglio che ciascuno facesse bene il proprio mestiere, rispettando quello degli altri. Gli istituti di vigilanza privata e le agenzie di sicurezza sono soggetti a licenza di Polizia e autorizzati ex art. 134 TULPS. Questi istituti impiegano professionisti e devono investire nella loro qualificazione professionale per offrire un servizio sempre migliore ai loro utenti. Perché ciò possa accadere bisogna prima di tutto eliminare dal mercato la concorrenza sleale, che opera in dumping. La direttiva 18 luglio 2018 del Ministero dell’Interno prevede la possibilità di utilizzare per i servizi di controllo anche personale di associazioni di volontariato, privo di qualifiche e preparazione specifica, ha prodotto una de-professionalizzazione della mansione. Ciò va a danno sia dei cittadini utenti del servizio che degli Istituti di Vigilanza privata ed alle Agenzie di sicurezza autorizzati, perché i volontari non sono tenuti ad avere alcun titolo che certifichi la loro capacità di assolvere a compiti di sicurezza. Se sono remunerati con un rimborso spese forfetario sono certamente meno onerosi per chi li impiega, ma fanno anche concorrenza sleale alle imprese ed ai lavoratori che devono pagare le tasse, i contributi previdenziali e quant’altro.
Quindi bisognerebbe vietare l’utilizzo dei volontari per le attività di controllo?
L’impiego improprio del volontariato, che sottrae la qualificazione del personale agli obblighi di legge previsti per le guardie giurate o gli addetti ai servizi di controllo, non va bene. Credo che si debba distinguere in maniera più precisa cosa deve essere fatto dalla vigilanza armata, cosa dagli addetti ai servizi di controllo, e cosa possono fare i volontari. Non vorrei che l’ambiguità favorisse dei finti volontari, pagati in nero, che magari percepiscono pure il reddito di cittadinanza. Il primo articolo della nostra Costituzione dice che la Repubblica si fonda sul lavoro, ed io credo che la dignità del lavoro sia garantita solo dal rispetto delle regole, a tutela dei lavoratori e dei fruitori dei servizi. Dove c’è il lavoro per un professionista credo che sia preferibile far lavorare una persona in regola invece che impiegare volontari e poi fare assistenzialismo per i disoccupati, e al tempo stesso ritengo che non si possa togliere l’operatore dal circuito assistenziale e degli ammortizzatori sociali, che sono legati al suo contratto di lavoro, perché così si svilisce un intero comparto e si mortificano i lavoratori.
Spesso però sono proprio i Comuni, nelle loro manifestazioni, o nelle sagre di paese, ad utilizzare i volontari, per spendere meno. Non crede che ciò sia un contraddizione con quello che sta dicendo?
Non sono affatto contrario all’impiego del volontariato, figuriamoci, per altro appartengo all’Associazione Nazionale Carabinieri di Ravenna, che fa un lavoro straordinario proprio in accordo con il Comune per le manifestazioni pubbliche. Credo che il contributo dei volontari sia importantissimo, per le funzioni proprie, di prossimità ai cittadini. Ma proprio per il suo valore etico il volontariato non può mai tollerare o nascondere il lavoro irregolare, remunerato con sotterfugi o in nero. Ai volontari veri ed agli assistenti civici si dovrebbe fare un monumento, perché prestano servizio gratuitamente ed in modo serio, operano in accordo con la polizia municipale e le forze dell’ordine, si aggiornano seguendo corsi specifici di formazione, anche sul primo soccorso. La loro presenza nelle tante manifestazioni pubbliche a cui partecipano rassicura i cittadini e può anche prevenire incidenti o problemi seri. Quello che non va bene è l’impiego sostitutivo del lavoro dei professionisti per attività e mansioni che vanno svolte da persone titolari di una licenza di polizia, a norma di legge, che sono preparati a qualificati per svolgere determinate funzioni e devono vivere e mantenere le loro famiglie che i proventi del lavoro che svolgono.