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L’INPS sulla Decontribuzione Sud
INPS – Messaggio n. 728 del 19 febbraio 2021: “Esonero di cui all’articolo 27 del D.L. n. 104 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2020. Decreto n. 876/2021 REG.PROV.CAU. del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)”
L’articolo 27 del D.L. 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, riconosce ai datori di lavoro privati, la cui sede di lavoro sia situata in regioni c.d. svantaggiate, un esonero dal versamento dei contributi (c.d. Decontribuzione Sud), pari al 30% dei complessivi contributi previdenziali dovuti dai medesimi, con esclusione dei premi e dei contributi spettanti all’INAIL, per il periodo 1° ottobre 2020 – 31 dicembre 2020.
Cassa Depositi e Prestiti – Next Generation EU: il punto di svolta di una ripresa incerta?
Quali sono le principali cause di incertezza che ancora pesano sulla ripresa economica? Quale può essere il ruolo di Next Generation EU? Sarà davvero un game changer per la crescita dell’Italia? Questo brief stima l’impatto dei fondi europei sul PIL reale, sugli occupati e sul debito pubblico in due diversi scenari epidemiologici. Si valutano inoltre alcune ipotesi che prevedono che l’assorbimento dei fondi non sia totale, bensì maggiormente in linea con la capacità storica di spesa dei fondi europei da parte dell’Italia.
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Nelle prossime settimane dovrà essere finalizzato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), da presentare alla Commissione Europea entro il 30 aprile.
L’approvazione del PNRR assume particolare importanza alla luce dell’incertezza che ancora caratterizza la ripresa economica, influenzata, da un lato, dall’evoluzione del coronavirus e, dall’altro, dagli avanzamenti nel piano di vaccinazione.
Infatti, assumendo che i fondi vengano impiegati completamente con la progressione indicata nei documenti di finanza pubblica, le stime presentate in questo brief mostrano che, soltanto grazie all’impatto di NGEU, il PIL italiano supererebbe già nel 2022 il suo livello pre-pandemico in uno scenario epidemiologico favorevole.
In particolare, rispetto al 2019, l’utilizzo di NGEU determinerebbe nel 2023, rispetto ad uno scenario senza impiego di fondi, i seguenti risultati:
Il PIL reale sarebbe più alto di circa il 2,2% (ovvero, circa 37 miliardi di euro);
Lo stock di occupati sarebbe più elevato di circa 130 mila unità;
Il rapporto debito pubblico/PIL sarebbe più basso di circa 4 punti percentuali.
Anche in caso di utilizzo dei fondi al 50%, i livelli di PIL e di stock di occupati pre-pandemici sarebbero comunque recuperati prima del 2023, grazie a NGEU.
In questo contesto, i settori di attività economica che più beneficerebbero della ripresa indotta da NGEU sarebbero le costruzioni, i trasporti, i servizi di informazione e comunicazione e, all’interno della manifattura, il comparto dell’ingegneria meccanica.
La vera sfida, tuttavia, è rendere NGEU un vero game changer. Questo dipenderà da come i progetti e le riforme finanziati attraverso i fondi europei avranno la capacità di modificare nel lungo periodo la produttività dell’economia italiana, innalzando strutturalmente il profilo di crescita del paese.
Contagi sul lavoro da Covid-19, più di sei casi su 10 denunciati all’Inail tra ottobre e gennaio
Il nuovo report mensile della Consulenza statistico attuariale conferma il maggiore impatto della seconda ondata della pandemia anche in ambito lavorativo. Le infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto alla data dello scorso 31 gennaio sono 147.875, 16.785 in più rispetto al mese precedente (+12,8%). I decessi sono 461 (+38 rispetto al 31 dicembre)
ROMA – La seconda ondata di contagi da Covid-19 ha avuto un impatto più intenso della prima anche in ambito lavorativo e non solo per la presenza di un mese in più. Il quadrimestre ottobre 2020-gennaio 2021, con oltre 92mila contagi, incide infatti per il 62,3% sul totale delle infezioni di origine professionale denunciate all’Inail dall’inizio della pandemia, rispetto agli oltre 50mila casi registrati nel trimestre marzo-maggio 2020, pari al 34,2%. A rilevarlo è il 13esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, che alla data dello scorso 31 gennaio registra 147.875 denunce di infortunio sul lavoro da nuovo Coronavirus, pari a circa un quarto delle denunce complessive di infortunio pervenute all’Inail dall’inizio del 2020 e al 5,8% dei contagiati nazionali totali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla fine di gennaio. I casi in più rispetto ai 131.090 del mese precedente sono 16.785 (+12,8%).
Oltre un quarto delle denunce in novembre. Le denunce sono concentrate soprattutto nei mesi di novembre (25,3%), marzo (19,2%), ottobre (15,9%), dicembre (15,1%), aprile (12,4%) e gennaio 2021 (6,0%), per un totale del 93,9%, mentre il rimanente 6,1% riguarda gli altri mesi del 2020: maggio (2,6%), settembre (1,3%), febbraio (0,7%), giugno e agosto (0,6% per entrambi) e luglio (0,3%), oltre alle 16 denunce del gennaio 2020. Come emerge anche da questi dati, nel periodo estivo tra la prima e la seconda ondata era stato registrato un consistente ridimensionamento del fenomeno, fino alla leggera risalita rilevata a settembre, che lasciava presagire la ripresa dei contagi che ha caratterizzato i mesi successivi.
Nell’aprile 2020 il 40,8% dei casi mortali. I casi mortali rilevati al 31 gennaio sono 461, circa un terzo del totale dei decessi denunciati dal gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,5% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla stessa data. L’aumento rispetto ai 423 casi rilevati al monitoraggio del 31 dicembre è di 38 casi, di cui 13 avvenuti a gennaio 2021, 16 a dicembre e sette a novembre 2020. I restanti due decessi risalgono a marzo e aprile. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire le informazioni non disponibili nei mesi precedenti. A differenza del complesso delle denunce, i casi mortali sono concentrati soprattutto nella prima ondata dei contagi. Il 72,9% dei decessi da Covid-19 denunciati all’Inail, infatti, sono avvenuti nel trimestre marzo-maggio 2020, con un picco del 40,8% nel solo mese di aprile, contro il 24,3% del periodo ottobre 2020-gennaio 2021. I casi mortali riguardano soprattutto gli uomini (82,9%) e le fasce di età 50-64 anni (71,1%) e over 64 anni (19,1%).
Più contagiati tra le donne e nella fascia 50-64 anni. Il rapporto tra i generi si inverte prendendo in considerazione il complesso delle denunce. La quota femminile sul totale, infatti, è pari al 69,6% e sale al 70,4% per i casi avvenuti in gennaio. L’età media dei contagiati dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni (59 per i casi mortali). Il 42,1% delle infezioni di origine professionale denunciate riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (36,8%), under 34 anni (19,3%) e over 64 anni (1,8%). L’86,0% delle denunce riguarda lavoratori italiani. Il restante 14,0% sono stranieri, concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 20,9% dei contagiati stranieri), peruviani (13,5%), albanesi (8,0%), ecuadoregni (4,5%) e moldavi (4,3%). Concentrando l’analisi sui casi mortali, la quota dei lavoratori italiani sale all’89,8%, mentre la comunità straniera più colpita risulta essere quella peruviana (con il 19,1% dei decessi dei lavoratori stranieri), seguita da quelle rumena (12,8%) e albanese (10,6%).
Confermato il primato negativo del Nord-Ovest. Dall’analisi territoriale emerge una distribuzione delle denunce del 45,6% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 27,1%), del 23,9% nel Nord-Est (Veneto 10,4%), del 14,2% al Centro (Lazio 5,9%), dell’11,8% al Sud (Campania 5,4%) e del 4,5% nelle Isole (Sicilia 2,9%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono quelle di Milano (10,5%), Torino (7,2%), Roma (4,7%), Napoli (3,8%), Brescia, Varese e Verona (2,7%), Genova (2,5%), Bergamo e Cuneo (2,0%). Milano è anche la provincia che registra il numero più alto di contagi di origine professionale nel mese di gennaio, seguita da Roma, Torino, Verona e Palermo. Sono però le province di Fermo, Sud Sardegna, Campobasso, Lecce e Gorizia quelle che registrano i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione del mese precedente. Prendendo in considerazione i soli casi mortali, la percentuale del Nord-Ovest sale al 48,9% (prima la Lombardia con il 35,4%), mentre il Sud con il 20,8% dei decessi (contro l’11,8% riscontrato sul complesso delle denunce) precede il Centro (14,3%), il Nord-Est (11,7% rispetto al 23,9% del totale delle denunce) e le Isole (4,3%). Le province che contano più decessi dall’inizio della pandemia sono quelle di Bergamo (9,5%), Milano (8,9%), Napoli (6,9%), Roma (6,1%), Brescia (5,6%), Cremona (4,1%), Torino (3,7%) e Genova (3,3%).
Nella sanità il 68,8% delle denunce e il 25,9% dei decessi. Tra le attività produttive, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – si conferma al primo posto con il 68,8% del totale delle denunce e il 25,9% dei decessi codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,2% dei contagi e il 10,7% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono i servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (tra cui gli addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), al secondo posto per numero di decessi con il 13,2% del totale, le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il trasporto e magazzinaggio e le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale) e il commercio all’ingrosso e al dettaglio.
L’andamento del fenomeno nelle tre fasi della pandemia. Dividendo l’intero periodo di osservazione in tre intervalli – fase di “lockdown” (fino a maggio 2020 compreso), fase “post lockdown” (da giugno a settembre 2020) e fase di “seconda ondata” dei contagi (ottobre 2020-gennaio 2021) – si riscontrano significative differenze in termini di incidenza del fenomeno. Per l’insieme dei settori della sanità, assistenza sociale e amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali) si osserva, infatti, una progressiva riduzione dell’incidenza delle denunce tra le prime due fasi e una risalita nella terza, comunque inferiore a quella osservata nella prima fase anche, probabilmente, per una migliore gestione del rischio (si è passati dall’80,4% dei casi codificati nel primo periodo al 54,7% del periodo giugno-settembre, per poi risalire al 77,7% nel quadrimestre ottobre-gennaio). Viceversa l’incidenza di altri settori, con la graduale ripresa delle attività, in particolare nel periodo estivo, è aumentata tra le prime due fasi e si è ridotta nella terza. È il caso, per esempio, dei servizi di alloggio e ristorazione (passati dal 2,5% del primo periodo al 5,8% del secondo e al 2,4% del terzo) o i trasporti (passati, rispettivamente, dall’1,2% al 5,5% al 2,2%). Il decremento in termini di incidenza osservato nell’ultimo quadrimestre nei servizi di alloggio e ristorazione e nei trasporti non deve però trarre in inganno. A partire dal mese di ottobre in questi settori, come in tutti gli altri, il numero dei casi è aumentato sensibilmente. A diminuire è la loro quota sul totale, a fronte del più consistente aumento che caratterizza, sia in valore assoluto che relativo, la sanità.
Le professioni più colpite. Con il 39,2% delle denunce, l’82,7% delle quali relative a infermieri, e l’11,2% dei casi mortali codificati (il 68,0% infermieri), la categoria dei tecnici della salute è quella più coinvolta dai contagi. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 19,3% delle denunce (e il 5,1% dei decessi), i medici con il 9,2% (6,7% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 7,3% (3,3% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,8% (4,2% dei decessi). Tra le altre professioni spiccano quelle degli impiegati amministrativi, con il 3,9% delle denunce e il 10,7% dei casi mortali, degli addetti ai servizi di pulizia, dei conduttori di veicoli e dei direttori e dirigenti amministrativi e sanitari.
NASpI e risoluzione del rapporto di lavoro per accordo collettivo aziendale
Con il Messaggio n. 689 del 17 febbraio 2021, l’INPS fornisce indicazioni sul diritto all’indennità di disoccupazione NASpI in conseguenza della risoluzione del rapporto di lavoro per accordo collettivo aziendale, come prevista dal Decreto Agosto (art. 14, comma 3, del D.L. n. 104 del 2020, convertito con modificazioni in L. n. 126/2020), nonché dalla Legge di Bilancio 2021 (art. 1, comma 311, della Legge n. 178/2020).
Le disposizioni in vigore prevedono che le preclusioni e le sospensioni in materia di licenziamenti collettivi e di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo – valide attualmente fino al 31 marzo 2021 – non trovano applicazione nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che abbiano ad oggetto un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono all’accordo.
Ai fini dell’accesso alla NASpI, nel provvedimento si dà atto dei dubbi interpretativi sollevati dalle strutture territoriali in ordine alla necessità che l’accordo collettivo aziendale sia sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e non da una sola.
A tal riguardo, l’Istituto chiarisce che l’accordo collettivo aziendale per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è valido se sottoscritto anche da parte di una sola organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa a livello nazionale, non essendo, quindi, necessaria la sottoscrizione da parte di tutte le organizzazioni.
Pertanto, a tale condizione, l’adesione all’accordo del lavoratore consente l’accesso alla prestazione di disoccupazione, qualora sussistano tutti gli altri requisiti richiesti dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22.