Dimissioni per fatti concludenti: Procedura attivabile dopo 15 giorni, salvo condizioni migliorative del CCNL . I chiarimenti del Ministero del Lavoro

Con la cirolare n. 6 del 27.03.2025 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fornisce le prime indicazioni applicative delle novità introdotte con la Legge 13 dicembre 2024, n. 203 recante “Disposizioni in materia di lavoro“ (cd. Collegato Lavoro). 

Si tratta di norme molto discusse in questi ultimi mesi di vigenza della Legge con specifico riguardo alle modifiche alla disciplina in materia di somministrazione di lavoro ; durata del periodo di prova ; definizione di attività stagionali ai fini dell’applicazione delle deroghe alla disciplina del contratto a termine e,  la procedura delle dimissioni per fatti concludenti per assenze ingiustificate. 

Dimissioni per fatti concludenti : termine minimo legale di 15 giorni in mancanza di specifica disposizione nel CCNL –  Il Collegato Lavoro ha riconosciuto la possibilità al datore di lavoro di ricondurre un effetto risolutivo all’ assenza ingiustificata del lavoratore protratta  per un certo periodo di tempo.  

L’articolo 19 della Legge n. 203/2024 ha modificato l’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015 in materia di “Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale”, introducendo il comma 7-bis, il quale stabilisce che: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.

La norma, in apparenza chiara, ha suscitato da subito un acceso dibattito che ha toccato diversi suoi punti. In primo luogo, la questione se il numero di giorni di assenza ingiustificata protratta, necessari al perfezionarsi della nuova fattispecie dimissionaria, dovessero essere quelli già previsti dai CCNL in merito al procedimento disciplinare, oppure fosse necessario una disposizione autonoma e specifica sul punto trattandosi di una fattispecie distinta da quella disciplinare e, pertanto, in attesa dell’aggiornamento dei contratti collettivi, dovesse operare il termine di legge di quindici giorni (sul punto l’articolo del 10.03.2025 “ Dimissioni per assenze ingiustificate in base alla Legge “ fa una sommaria sintesi delle ragioni alla base delle due tesi).  

La circ. n. 6 del 27.03.2025 risolve la questione precisando, innanzitutto, che il termine individuato dalla Legge ( 15 giorni ) costituisce un termine legale minimo. Il datore di lavoro, che intende avvalersi della procedura, presumendo dall’ assenza ingiustificata una volontà dimissiva del lavoratore, deve attendere il decorso dei 15 giorni di calendario e, fatte salve condizioni migliorative previste dal CCNL, dal sedicesimo procedere con la risoluzione del rapporto e le comunicazioni all’ Ispettorato, secondo le indicazioni a suo tempo fornite con la Nota n. 579/2025, e al Ministero del Lavoro mediante il sistema delle comunicazioni obbligatorie.  

Le disposizioni del contratto collettivo che prevedono conseguenze sul piano disciplinare per l’assenza  ingiustificata ( licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo ) non possono trovare applicazione alla procedura delle dimissioni per fatti concludenti.

Visto che la maggior parte dei contratti collettivi prevede termini inferiori ai 15 giorni di assenza ingiustificata per procedere al licenziamento, al datore di lavoro spetta scegliere se aprire un procedimento disciplinare ex art. 7 della Legge n. 300/1970 o attendere il decorso del termine minimo legale ( o contrattuale se previsto con disposizione ad hoc del CCNL ) e attivare la procedura con le dimissioni per fatti concludenti. Nonostante l’attesa del decorso del periodo minimo di assenza ingiustificata, le dimissioni  consentono di conseguire un risparmio rispetto al licenziamento disciplinare in quanto durante il periodo di assenza ingiustificata  il datore di lavoro non è tenuto al versamento della retribuzione, e dei relativi contributi, oltre a poter trattenere l’indennità di mancato preavviso senza dover versare il ticket licenziamento.  

Il datore di lavoro, laddove intenda avvalersi della procedura, deve comunicarlo all’ Ispettorato. Da questa comunicazione decorre il termine, sanzionato in via amministrativa, entro il quale deve essere effettuata la comunicazione obbligatoria al Ministero del Lavoro, mediante il modulo dell UNILAV che attesta la data di cessazione del rapporto.   

La norma prevede espressamente che l’effetto risolutivo del rapporto potrà essere evitato laddove il lavoratore dimostri “l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”. Grava, pertanto, sul lavoratore l’onere di provare l’impossibilità di comunicare i motivi dell’assenza al datore di lavoro (ad esempio, perché ricoverato in ospedale o per causa di forza maggiore) o la circostanza di aver comunque provveduto alla comunicazione.

Qualora il lavoratore dia effettivamente prova di non essere stato in grado di comunicare i motivi dell’assenza, così come nell’ipotesi in cui l’Ispettorato accerti autonomamente la non veridicità della comunicazione del datore di lavoro, non può trovare applicazione l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro previsto

La circolare precisa, infine, che la procedura telematica di cessazione avviata dal datore di lavoro, viene resa inefficace se il datore riceve successivamente la notifica da parte del sistema informatico del Ministero dell’avvenuta presentazione delle dimissioni. La procedura non trova applicazione in tutti quei casi in cui la risoluzione del rapporto e le dimissioni sono soggette a convalida obbligatoria ( lavoratrice durante la gravidanza ; lavoratrice madre e lavoratore padre durante i  primi tre anni di vita del bambino. 

Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali Lavorosi.it

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