Adapt – Divieto di licenziamenti e Decreto Sostegni bis: le novità

di Aniello Abbate

Dopo una lunga scia di polemiche, proprio a causa delle divergenze in seno alle forze politiche di maggioranza sull’opportunità o meno di prolungare le vigenti preclusioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, il 25 maggio 2021 il decreto-legge n. 73/2021 (c.d. “Decreto Sostegni bis”) è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

L’art. 40 del Decreto conferma la preclusione per l’avvio delle procedure di licenziamento riguardante tutta la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021. Risultano, inoltre, sospese nel medesimo periodo – per chi intende appunto avvalersi della Cassa integrazione ordinaria – le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, in conformità con la precedente disciplina emergenziale.

In ogni caso, già il decreto-legge n. 41/2021 (c.d. “Decreto Sostegni”) – convertito con modificazioni con legge 21 maggio 2021, n. 69 – aveva creato un “doppio binario” in merito alla vigenza di tale divieto. Nel dettaglio, l’art. 8, comma 9 disponeva un blocco generalizzato fino al 30 giugno 2021 per tutte le imprese, a prescindere dal requisito dimensionale. Tuttavia, l’art. 8, comma 10, prevedeva che per i datori di lavoro agricoli, di cui all’ art. 8, comma 8, e per i datori di lavoro privati che avevano fatto richiesta di integrazioni salariali di cui all’art. 19 e 22 del d.l. n. 18/2020 e s.m.i. (quindi assegno ordinario, CIGD, CISOA, FIS o, ancora, FSBA), l’estensione delle summenzionate preclusioni sino al 31 ottobre 2021.

La norma, così come scritta, appariva comunque suscettibile di una duplice interpretazione: da un lato poteva ritenersi, per i soggetti legittimati, obbligatorio l’utilizzo dell’integrazione salariale, così che solo una volta terminata la possibilità di utilizzare ammortizzatori sociali il datore di lavoro poteva poi procedere ai licenziamenti. Dall’altro lato, invece, un’interpretazione più fedele al dato letterale della disposizione legislativa (la quale all’art. 8, comma 2 statuiva che i “datori di lavoro […] possono presentare […] domanda per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga”) sembrava escludere tale possibilità, non prevedendo un obbligo in capo ai datori di lavoro di usufruire di tali ammortizzatori sociali, così che gli stessi potevano poi licenziare il personale a partire dal 1° luglio 2021.

Quest’ultima interpretazione, tuttavia, nonostante potesse apparire probabilmente più coerente con il dato normativo, si rilevava comunque fonte di possibili problematiche. Difatti, se le aziende a partire dal 1° luglio 2021 avessero voluto predisporre licenziamenti a causa di problematiche organizzative sorte e collegate ad un periodo precedente, ci sarebbe stato comunque il rischio di porre in essere un licenziamento potenzialmente nullo, in quanto il fatto posto alla base del licenziamento era sorto e si riferiva ad un momento storico in cui non era possibile procedere al recesso.

Ciò nonostante, qualora il datore di lavoro – di cui all’art. 8, commi 2 o 8 del decreto-legge 41/2021 – proceda ad esempio ai licenziamenti a metà luglio, poiché non intende chiedere le integrazioni salariali, e poi si accorge di avere necessità dell’intervento di tali ammortizzatori sociali, può sempre revocare i licenziamenti disposti e mettere in cassa integrazione i lavoratori precedentemente oggetto di licenziamento.

A ogni modo, così come anticipato in precedenza, il Decreto Sostegni bis ha innovato tale disciplina. Andando nel dettaglio, l’art. 40, comma 4 del decreto-legge n. 73/2021 statuisce per i datori di lavoro che presentano domanda di Cassa integrazione ordinaria le succitate preclusioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, fino al 31 dicembre 2021. L’art. 40, comma 3, prevede inoltre per gli stessi – con riguardo al medesimo periodo – l’esonero dal pagamento del contributo addizionale di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 148/2015.

Di conseguenza, i datori di lavori che non intendono avvalersi della Cassa integrazione ordinaria e che non rientrano nelle categorie di cui all’art. 8, comma 10 del decreto-legge n. 41/2021 non saranno più soggetti ai divieti di licenziamento che hanno caratterizzato la normativa emergenziale “anti-Covid”.

Infine, l’art. 40, comma 5 del Decreto Sostegni bis conferma in toto i casi di eccezione rispetto a tali preclusioni (già disciplinati dal Decreto Ristori e dalla relativa legge di conversione), nonostante la poca chiarezza degli stessi dal punto di vista applicativo. Difatti, la succitata norma prevede in ogni caso la possibilità di interrompere il rapporto di lavori nei seguenti casi: a) licenziamento motivato dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione (anche parziale) dell’attività, nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c.; b) vigenza di un accordo collettivo aziendale stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale con il datore di lavoro che abbia ad oggetto l’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro; c) fallimento, quando non è previsto l’esercizio provvisorio dell’impressa ovvero ne sia disposta la cessazione.

Aniello Abbate