L’on. Alberto Pagani sulle elezioni del 25 settembre

L’opinione del capogruppo Pd in commissione Difesa della Camera

Riportiamo di seguito l’intervista all’onorevole Alberto Pagani, capogruppo Pd in commissione Difesa della Camera.

“Onorevole Pagani grazie di questa intervista intanto. Inizierei subito da una domanda sulla campagna elettorale. Non trova che sia iniziata in un modo un po’ anomale? Si parla di alleanze e non di programmi. Ma ai cittadini interessano di più quest’ultimi, non crede?

Senza dubbio gli elettori devono poter conoscere le intenzioni di chi si candida a guidare il Paese, quali progetti vuole realizzare, quali obiettivi crede di raggiungere e quali impegni concreti assume con gli elettori. Però penso che sia importante anche sapere con quali alleati vuole realizzare questi progetti, per valutare se si tratta di qualcosa di serio e credibile oppure no. Mi pare normale che si facciano prima le alleanze, e poi si scrivano insieme i programmi comuni, che devono essere condivisi. Se ci sono opinioni diverse si deve discutere per trovare una mediazione concreta e realistica, oppure rinunciare ad allearsi. Il centrosinistra sta facendo questo, il centrodestra non si è nemmeno posto il problema, ciascuno può raccontare quel che vuole, come se fosse normale che fino a ieri Fratelli d’Italia contestava tutto quello che faceva il Governo Draghi, dove c’erano i Ministri della Lega e di Forza Italia, ed oggi tutte quelle differenze sono sparite all’improvviso, come d’incanto. Sarà il miracolo delle poltrone di Governo a cui aspirano, ad aver sistemato tutto, ma bisogna davvero considerare stupidi gli elettori, per farlo.

Ecco allora le chiedo, visto che lei si è sempre occupato di temi relativi alla difesa e alla sicurezza, quali sono le priorità che vede?

Difesa e sicurezza interna sono due cose molto diverse, per quanto legate tra di loro. La prima è una dimensione essenziale della politica, ed in genere è considerata una questione molto importate dall’opinione pubblica, ma nel nostro Paese no, la propaganda politica si concentra sempre sulla seconda, perché tocca da vicino le paure dei cittadini. La paura di subire un furto, uno scippo, la paura della violenza in generale, non si contrasta con una statistica che dice che il numero degli omicidi è in calo. E’ un dato vero, ma se si risponde così ad una persona che non si sente sicura si sentirà pure presa in giro, e si arrabbierà molto, giustamente. E’ compito dello Stato prevenire il crimine, e garantire la legalità, per cui bisogna rispondere con proposte concrete, non con la demagogia degli slogan vuoti, o la matematica delle statistiche rassicuranti.

Quali sono le proposte concrete che ha in mente?

Troppo spesso ho sentito dei poliziotti o dei carabinieri dire “noi li arrestiamo ed il girono dopo sono già fuori”. Credo che chi delinque debba andare in carcere. Se la percezione che non succeda è così diffusa c’è qualcosa che non funziona. La pena detentiva non ha solo lo scopo rieducativo, finalizzato al reinserimento sociale del reo, ma ha anche quello di proteggere la società dalle persone pericolose. Se il delinquente che va a rubare in casa delle persone, o quello che compie reati predatori come la rapina o lo scippo, è convito di potersela cavare con una pena lieve, sarà incentivato a delinquere. A mio parere si dovrebbe riflettere sulla congruità delle pene che vengono realmente scontate per quei reati che producono maggiore allarme sociale. Non parlo delle pene teoriche, nè di quelle previste dalla condanna, ma della realtà, di quando esce dal carcere il delinquente, in relazione al reato che ha commesso. Una persona violenta, che picchia la moglie o che produce lesioni ad un innocente, o uno stupratore che viene condannato, quanto resta davvero in carcere? se ci si rende conto che si tratta di una pena irrisoria rispetto alla gravità del reato e del danno che può aver provocato alla vittima, bisogna rivedere l’impianto complessivo e modificare la situazione reale. Non ci sono giustificazioni procedurali che rendono accettabile l’ingiustizia. Allo stesso modo credo che sia necessario rivedere l’impianto organizzativo del sistema di sicurezza.  

Concretamente cosa significa?

Serve, a mio avviso, una ridefinizione complessiva dei compiti di tutti coloro che concorrono a produrre sicurezza. In Italia ci sono 110 mila carabinieri, 100 mila poliziotti, 60 mila finanzieri, e a questi bisogna aggiungere tutti gli operatori delle polizie locali e quelli degli istituti di vigilanza privata. Non sono pochi, ma sono organizzati in modo irrazionale, che produce inutili ripetizioni, qualche gelosia, ed un coordinamento inadeguato ed insufficiente. Per altro nei prossimi anni matureranno il diritto alla pensione più operatori di quanti le scuole di polizia ne possano formare, e se non si riorganizza tutto il sistema si rischia davvero di avere meno personale e meno sicurezza, a prescindere dal colore politico di chi governa.

Cosa significa riorganizzare tutto? Come andrebbe riorganizzato questo sistema?

Significa riguardare i compiti di ciascuno per vedere cosa è indispensabile che facciano le forze di polizia e che cosa no. E’ davvero necessario che tutti i compiti relativi all’immigrazione o alle manifestazioni sportive dilettantistiche debbano ricadere sulle questure? Quanti poliziotti sono impegnati ogni giorno per i passaporti, per i permessi di soggiorno degli stranieri, per la corsa podistica o per la manifestazione musicale? Si tratta di funzioni essenzialmente burocratiche, d’ufficio. Non si può trasferire una parte di questi compiti amministrativi alle autonomie locali, che per altro erogano già i servizi anagrafici e dispongono della polizia locale? Trasferendo delle funzioni si liberano risorse che possono essere impiegate nella prevenzione e nella repressione del crimine, producendo più controllo del territorio e più sicurezza. Questo garantisce i cittadini più delle sciocchezze propagandistiche che dicono Salvini e la Meloni, che sono solo chiacchiere senza sostanza.

Ma gli enti locali hanno poco personale, le risponderanno…

Una funzione trasferita ad un ufficio già organizzato per compiti simili non comporta sempre un bisogno di personale corrispondente. L’ufficio anagrafe del municipio può fare le pratiche dei passaporti come fa quelle delle carte d’identità, senza dover impiegare lo stesso numero di poliziotti che se ne occupano in questura. I servizi di back office possono essere associati dai piccoli comuni, ottimizzando la gestione. La polizia locale svolge già molti importanti compiti di polizia amministrativa e comunque gli organizzatori delle manifestazioni culturali o sportive si rivolgono sempre al Comune, la questura è un passaggio in più, che a volte complica inutilmente le cose. Se il problema in questo caso è a chi fa capo la responsabilità dell’ordine pubblico bisogna affrontare quello, non rispondere che non si può fare, perché non si vuol toccare nulla.

Lei pensa quindi che si possa fare meglio senza aumentare il personale?

In questi anni abbiamo governato ed aumentato il numero degli operatori delle forze dell’ordine, perché era necessario farlo. Stiamo proseguendo in questo cammino, ma dobbiamo avere la consapevolezza del fatto che l’età media degli operatori è piuttosto alta e gli scaglioni di età di coloro che sono in uscita sono molto numerosi. Penso che ci se debba preoccupare prima di tutto di sostituire quelli che vanno in pensione, che significa fare i concorsi e formare i nuovi arrivati nelle scuole. Se non ci si attrezza ora ci si troverà nei guai seri molto presto, chiunque governi. Ci sono problemi che vanno anticipati, perché non si risolvono con gli slogan dei politicanti, ma solo con le azioni concrete e le riforme vere.

Perché i politicanti, come dice lei, che cosa propongono?

Cosa propongono concretamente ce lo devono ancora spiegare, ma io so quello che hanno già fatto. I politicanti che non studiano i problemi producono dei danni senza nemmeno rendersene conto. Faccio un esempio: quando Salvini era Ministro degli interni, autorizzò le cosiddette associazioni di volontari a svolgere compiti che andrebbero riservati ai professionisti degli istituti di vigilanza privata. Non so quali lobbisti volesse accontentare, ma questa innovazione sciocca ha fatto nascere associazioni di finti volontari, che non sono formati ed addestrati adeguatamente e vengono pagati in nero, danneggiando tutto il sistema della sicurezza. In questo caso bisogna semplicemente rimediare e rimettere le cose a posto: dove ci può andare un volontario ci vada il volontario, ma dove serve un addetto ai servizi di controllo, specializzato, bisogna che lavori un professionista, o una guardie giurata. Se ciascuno facesse bene il proprio mestiere saremmo tutti più sicuri, e si eviterebbe anche l’evasione fiscale e contributiva che la disgraziata iniziativa di Salvini ha incentivato.

Poco fa ha parlato di lobbie, ma ci risulta che lei abbia un rapporto particolarmente buono con le associazioni di rappresentanza del settore della sicurezza privata, quindi si potrebbe obiettare che anche questa sua risposta difende degli interessi di parte.

Certamente, prima di tutto l’interesse dei cittadini, che hanno il diritto alla sicurezza. Se metti un cappello da vigilantes in testa ad volontario senza pretendere che abbia alcuna formazione, perché non vuoi pagare un professionista titolare di una licenza prefettizia, danneggi il cittadino, non solamente il professionista. In secondo luogo difendo le imprese ed i lavoratori, perché credo nel ruolo dell’impresa e nella dignità del lavoro. Il settore della vigilanza privata, armata e non, impiega più di 100.000 lavoratori, che producono con il loro lavoro il reddito per le loro famiglie, ed io credo che sia giusto tutelarli dalla concorrenza sleale, perché pagano le tasse, versano i contributi previdenziali e concorrono a far crescere la ricchezza economica del Paese, oltre che alla sicurezza dei cittadini.

Quindi pensa ad una maggiore collaborazione tra pubblico e privato nel settore della sicurezza?

Si renderà indispensabile, se vogliamo avvalerci pienamente delle possibilità offerte dalla tecnologia. Basti pensare al sistema delle videocamere di sorveglianza. Se non sono integrate in una rete unica servono a poco o nulla perché nessuno sta realmente a guardare quello che inquadra e registra ogni telecamera. Al massimo, se le immagini sono decenti, vengono utilizzate per le indagini, dopo che è stato commesso un crimine. Non prevengono proprio nulla. Ma la tecnologia oggi permetterebbe di fare molto di più, perché le telecamere intelligenti, collegate in rete a software che utilizzano l’intelligenza artificiale, consentirebbero di avere l’allarme in tempo reale ed intervenire mentre il reato si sta per compiere. Per farlo però occorre standardizzare le tecnologie, collegare tutto ad una sola centrale di controllo ed implementare i sistemi automatici di ricerca con le informazioni che hanno solo le forze di polizia, come le targhe dei veicoli rubati, ad esempio. Ad oggi non sono in rete nemmeno tutte le telecamere delle amministrazioni locali, che sono pagate dai contribuenti e servono a poco o nulla. Con una politica seria si può integrare tutto ed incentivare il privato a collaborare nel sistema con risorse proprie. Non è fantascienza, si può fare, adesso.

Le avevo chiesto anche delle proposte relative alla Difesa ed alla Sicurezza Nazionale, che è la materia principale di cui si occupa, e non mi ha ancora risposto…

Ha ragione, ed è molto importante, purtroppo, perché è ritornata la guerra in Europa, dopo tanti anni di pace. L’invasione Russa dell’Ucraina ci ha risvegliati dall’illusione di essere immuni al rischio che la guerra arrivi sino a casa nostra, e spero che tutti ora abbiano capito che è necessario potersi difendere, se non altro perché la deterrenza scoraggia i male intenzionati. Mantenere gli impegni presi con i nostri alleati della Nato ed investire nella Difesa Europea sono le nostre priorità, e sono complementari. La Nato è un sistema di protezione collettiva, al quale aderiscono 30 Paesi liberi, e con l’adesione di Svezia e Finlandia saranno presto 32. Si basa sul principio che tutti sono impegnati a difendere l’alleato che venisse aggredito, e quindi ciascuno deve essere realmente in grado di fare la propria parte. Noi dobbiamo garantire agli alleati di poter fare la nostra, con forze armate e strumenti efficienti, perché loro facciano lo stesso per proteggere noi.

E per quale ragione dice che questo è complementare alla Difesa Europea?

Perché l’efficienza si può raggiungere realmente soltanto se uniamo le forze e ci poniamo obiettivi ambiziosi, soprattutto sul piano tecnologico. Sviluppare tecnologie unendo in progetti comuni, finanziati dalla UE, le capacità di grandi industrie come Leonardo o Fincantieri, con quelle dei francesi di Theles, o dei tedeschi di Rheinmetall, può produrre un vero salto di qualità. Il problema non è mettere insieme una forza comune di 5000 o 1000 uomini, è smettere di sprecare denaro in sistemi d’arma che non hanno un mercato sufficientemente ampio da ammortizzare nemmeno costi di ricerca e sviluppo. Bisogna smettere di pensare in piccolo e ragionare più in grande, come Europa, perché gli Stati Uniti non hanno il carro armato del Texas diverso da quello dell’Arizona, per questo sono la prima potenza mondiale. Un’Europa capace di avere una sua politica estera e di Difesa può rappresentare un punto solido di riferimento anche per l’Alleanza Atlantica perché gran parte dei Paesi della UE sono anche alleati nella NATO  

Ora veniamo a lei: sarà presente nelle liste che voteremo il 25 settembre?

Non lo so, perché non le faccio io, ma credo proprio di no. Io sono stato eletto in Parlamento nel 2013. Credo che sia normale e giusto che un partito serio cerchi di avere un certo ricambio. Ovviamente ci vuole un equilibrio nella rappresentanza parlamentare, non solamente tra genere maschile e femminile, ma anche tra chi ha più o meno esperienza, tra le diverse competenze in tutti settori, tra i territori che devono essere equamente rappresentati. Non è mai un compito facile decidere chi deve far parte di una lista e chi no. Spetta in primo luogo al segretario la responsabilità di comporre questo equilibrio, e non compete certo ai parlamentari uscenti giudicare il proprio lavoro, per auto promuoversi.

Lei è un parlamentare del PD, e se non sbaglio però le statuto del Pd fissa un limite di 15 anni, quindi potrebbe essere ricandidato, no?

Sì, ma è un limite massimo, non minimo. può esserci l’esigenza di avvicendare i parlamentari anche prima, per fare spazio a candidati nuovi. Non c’è un diritto di prelazione, per chi è in Parlamento, o il diritto di essere ricandidati perché non sono ancora stati raggiunti i 15 anni. Proprio per questo però, dal momento che è stato fissato un limite, la mia personale opinione è che le eccezioni debbano essere davvero pochissime, e molto ben motivate, altrimenti non ha senso definire una regola, se poi non vale per tutti. In fondo nessuno è indispensabile e l’Italia non subirà danni irreparabili per l’assenza di qualcuno”.

Fonte: ravenna24ore.it