Blog di Maria Cristina Urbano

11 giugno 2020

Bene il Piano Colao per il rilancio dell’Italia, ma la sicurezza?

Bene il Piano Colao per il rilancio dell'Italia, ma la

Ci troviamo certamente nel momento di passaggio da una tempesta, quella sanitaria dovuta al Covid-19, a quella economico-sociale che, conseguenza della prima, attende solo di esplodere in tutta la sua gravità.

Le autorevoli stime sin qui avanzate non consentono di nutrire grandi speranze: PIL nazionale in calo nel 2020 tra il 10% e il 15%; disoccupazione in accelerazione; tessuto economico e imprenditoriale (soprattutto le piccolissime imprese e le PMI) in profonda crisi di liquidità e senza immediate prospettive di ripresa; crollo degli investimenti e ripercussioni anche di medio-lungo termine sull’export.

Gli scenari peggiori tratteggiati nelle scorse settimane dal FMI, che assumono a loro fondamento un prolungarsi del periodo di lockdown in vaste aree del pianeta e una seconda ondata del Covid a cavallo tra 2020 e 2021, delineano uno scenario la cui gravità è addirittura difficile da immaginare, mai conosciuta dalle generazioni chiamate ad affrontarla.

Situazioni straordinarie richiedono scelte straordinarie che, nel caso di un mondo interconnesso come mai prima, vanno ben oltre l’orizzonte del singolo paese. Ma noi dobbiamo fare il nostro, guardarci in casa, scevri da condizionamenti ideologici e convenienze politiche, per affrontare e sciogliere i nodi che rallentano lo sviluppo dell’Italia, nel perseguimento degli obiettivi di equità sociale, sostenibilità ambientale, efficienza economica ed efficacia nell’azione della Pubblica Amministrazione.

Accogliamo pertanto con interesse il complesso lavoro prodotto dalla task force di esperti in materia economica e sociale voluta dalla Presidenza del Consiglio e presieduta da Vittorio Colao.

Moltissime delle questioni affrontate nelle proposte per il rilancio del nostro Paese colgono nel segno: efficientamento dei sistemi produttivi e nuova centralità del fattore lavoro; infrastrutture e ambiente intese quali volano della ripresa; innovazione, ricerca ed istruzione a fondamento dello sviluppo; una Pubblica Amministrazione maggiormente attenta alle concrete esigenze del cittadino e dell’impresa; strumenti fiscali che aiutino a garantire liquidità al sistema produttivo; riforma del Codice dei contratti pubblici in senso minimalista; solo per ricordarne alcune. Firmiamo e sottoscriviamo. Se solo la metà delle proposte saranno attuate per metà, nel volgere di qualche anno l’Italia potrebbe vivere una trasformazione culturale, economica e sociale paragonabile a quella del secondo dopoguerra, proiettata finalmente nel terzo millennio.

Ma dalla mia particolare prospettiva, mi chiedo: e la sicurezza? Possibile che in ogni ambito si osi proporre di buttare il cuore oltre l’ostacolo, e per quanto riguarda questo comparto non si riesca neppure ad applicare l’innovativo quadro normativo esistente?

Mi riferisco all’ambizioso e lungimirante sistema sicurezza delineato dal TULPS a partire dal 2008, che vede nella partnership tra pubblico e privato (altamente qualificato e professionalizzato) il driver di sviluppo per servizi di alto livello, efficienti ed efficaci, capaci di ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche e liberarne di consistenti (sia economiche che umane) a vantaggio delle Forze dell’Ordine, per l’espletamento dei compiti che a queste precipuamente spettano. Quella che può ancora essere una best practice, segna il passo, nell’indifferenza di istituzioni e politica.

Anzi, si propongono misure che, se adottate senza la necessaria moderazione, colpiranno a morte un importante segmento della vigilanza privata: il trasporto valori. Un settore che ha investito in misura significativa nell’implementazione delle strutture, dei mezzi e del personale per svolgere con elevato grado di professionalità tale essenziale servizio, che ha già sofferto gravemente a causa delle misure di lockdown (l’ultimo dato parla di una riduzione del 50% nei prelievi nel corso dei mesi di marzo-maggio).

Un refrain, ripetuto forse senza troppo approfondire, vuole nell’utilizzo del contante la matrice dell’evasione fiscale, mentre il denaro contante non è che uno strumento, il cui utilizzo dipende dal contesto di riferimento. La lotta al nero, come spesso si riconosce, andrebbe invece perseguita con misure capaci di rendere fiscalmente conveniente al cittadino l’emersione delle proprie spese, nella consapevolezza che il ricorso al contante, se spesso è determinato da ragioni culturali, in molte altre circostanze dipende da motivi oggettivi (disponibilità dei device, surcharge ingiustificati, una PA ancora tecnologicamente arretrata, etc…).

In tale ottica, la proposta della task force governativa di introdurre incentivi all’utilizzo del denaro elettronico e disincentivi al prelievo di contante, non sembra cogliere il segno. La dimostrazione consiste nel fatto che, seppure negli anni è cresciuta significativamente la domanda di servizi digitali di pagamento (tuttavia ancora ampiamente sotto la media europea), non si riduce contestualmente la perdita di gettito fiscale da evasione. Anche in questo caso, verrebbe da affermare, in medio stat virtus.

 

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