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Huffington Post, Maria Cristina Urbano: Subito una revisione del Codice dei contratti pubblici

Stato ed enti locali devono tornare a considerare la gara pubblica come la regola, non l’eccezione. Le scorciatoie devono restare tali: strumenti eccezionali, motivati e sotto controllo. Meno ambiguità, soglie più basse per gli affidamenti diretti, regole più semplici ma anche più stringenti. E soprattutto controlli veri

Il Codice dei contratti pubblici è uno degli strumenti fondamentali attraverso cui lo Stato e le pubbliche amministrazioni gestiscono l’affidamento di lavori, servizi e forniture. È la “regia” che stabilisce come spendere una parte importante delle risorse pubbliche, con effetti diretti sull’efficienza dell’amministrazione, sulla qualità dei servizi e sull’uso corretto del denaro pubblico.

Nonostante le recenti modifiche, però, questo strumento continua a presentarsi come un impianto normativo complesso, frammentato e spesso aggirabile. E proprio qui sta il problema: ciò che dovrebbe essere l’eccezione – ovvero il ricorso a procedure non ordinarie – rischia sempre più di diventare la norma.

Il punto più critico riguarda l’indebolimento del principio della gara pubblica, che dovrebbe essere il cuore del sistema. La concorrenza tra operatori economici, garantita da procedure aperte e trasparenti, è infatti l’unico modo per assicurare scelte imparziali, servizi di qualità e un uso efficiente delle risorse. Eppure, negli anni, sono aumentate a dismisura le deroghe: affidamenti diretti, procedure negoziate senza bando e altri strumenti “semplificati” che, da soluzioni straordinarie, stanno diventando prassi quotidiana.

Lo denunciamo da tempo come Assiv, ma stavolta a lanciare un segnale forte è stato il presidente dell’ANAC, Giuseppe Busia, nella sua relazione 2025: “sul totale delle acquisizioni di servizi e forniture del 2024 (l’incidenza numerica degli affidamenti diretti) è risultata essere di circa il 98%. Preoccupa, soprattutto, il crescente addensamento degli affidamenti non concorrenziali tra 135.000 e 140.000, a ridosso della soglia. […] Numerosi risultano i casi di frazionamenti artificiosi degli appalti”. Dati che parlano chiaro – e che preoccupano.

Spesso si tirano in ballo l’urgenza, la necessità di spendere in fretta i fondi pubblici, o la volontà di semplificare. Ma la verità è che il ricorso a modalità non competitive è ormai strutturale, non più legato a contesti di emergenza. Questo approccio non solo mette a rischio la trasparenza, ma spalanca la porta a inefficienze, conflitti d’interesse e distorsioni del mercato, quando non ad infiltrazioni criminali.

Busia lo ha detto chiaramente: «La concorrenza non è un ostacolo, ma una garanzia». E ha ragione. Una gara ben fatta, trasparente e accessibile è la miglior tutela dell’interesse pubblico. Permette di scegliere l’offerta migliore (intesa non meramente come prezzo più basso), di garantire condizioni eque per tutti e di restituire fiducia ai cittadini. Insistere sugli affidamenti diretti e sulle scorciatoie, invece, allontana le imprese serie, abbassa la qualità dei servizi e mina la credibilità delle istituzioni.

È il momento di cambiare rotta. Stato ed enti locali devono tornare a considerare la gara pubblica come la regola, non l’eccezione. Le scorciatoie devono restare tali: strumenti eccezionali, motivati e sotto controllo.

Serve anche una revisione del Codice: meno ambiguità, soglie più basse per gli affidamenti diretti, regole più semplici ma anche più stringenti. E soprattutto, controlli veri. Non servono più norme: servono norme più chiare e davvero applicate. Perché l’interesse pubblico non si difende con le scorciatoie, ma con regole chiare, certe e applicate con coerenza.

Se vogliamo davvero una pubblica amministrazione moderna, efficiente e credibile, la gara pubblica deve tornare ad essere il perno del sistema. Non per burocrazia, ma per garantire che ogni euro speso sia davvero al servizio dei cittadini – e non di interessi opachi o discrezionali. E’ una battaglia culturale, oltre che giuridica ed economica, che deve essere vinta perché non possiamo permetterci altro.

Leggi l’articolo sull’Huffington Post

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Agenzia delle Entrate sul Welfare: Tassate le indennità obsolete convertite in benefits

Agenzia delle Entrate – Risposta n. 195/2025

Con la risposta n. 195/2025, l’Agenzia delle Entrate fornisce importanti chiarimenti sulla tassazione di alcune indennità ritenute obsolete in ambito contrattuale e quindi sostituite dal datore di lavoro, tramite accordi sindacali, con prestazioni di welfare aziendale.

Nel caso affrontato dall’ Agenzia, una società ha previsto, in attuazione di una clausola contenuta nel nuovo contratto collettivo nazionale applicato in azienda, la soppressione dal 2025 di alcune indennità ritenute obsolete. Ai dipendenti già percettori è stata offerta la possibilità di convertirle in prestazioni di welfare aziendale, beneficiando di un incremento percentuale dell’importo.

Secondo la ricostruzione dell’ istante, la previsione contrattuale, essendo destinata solo a coloro che percepivano tali indennità, consente l’ individuazione di una categoria omogenea di lavoratori come richiesto dalla normativa che disciplina la concorrenza o non alla formazione del reddito di lavoro dipendente di beni, opere, servizi, prestazioni o rimborsi percepiti in relazione al rapporto di lavoro. L’ istante ritiene, dunque, che le prestazioni di welfare, frutto della conversione , non assumerebbero una connotazione strettamente reddituale in quanto utilità ulteriori accordate in sede sindacale.

Di diverso avviso l’ Agenzia che in risposta alla richiesta di parere evidenzia come l’accoro sindacale, più che consentire l’accesso a prestazioni di welfare in favore della generalità dei dipendenti, mira a sostituire voci imponibili della retribuzione. Ciò trova conferma nel fatto che, ai dipendenti che non hanno espresso la propria preferenza per la corresponsione delle indennità obsolete sotto forma di welfare aziendale, verrà erogata in loro sostituzione una somma pari al 100 % del valore medio percepito negli ultimi 5 anni.  

L’ Agenza conclude evidenziando come questi meccanismi contrattuali costituiscano un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro, in violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività della tassazione.  

La quota di retribuzione relativa ad indennità soppresse, convertite su scelta del dipendente interessato in prestazioni di welfare, non può fruire del regime di esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, di cui all’ art. 51, commi 2 e 3, del  TUIR, in quanto la conversione tra remunerazione monetaria e benefits è al di fuori delle condizioni fissate dalla Legge di Stabilità 2016,  ossia :   

·       ­ le somme devono costituire premi di risultato o utili riconducibili al regime agevolato ( art. 1, comma 182, della legge di Stabilità per il 2016);

·       ­ la contrattazione di secondo livello deve riconoscere al dipendente la facoltà di convertire i premi o gli utili in benefit di cui ai commi 2 e 3 dell’ art. 51 del TUIR. 

WST Law & Tax – Lavorosi.it

Agenzia delle Entrate: Sulla corretta tassazione delle misure compensative del TFR

Agenzia delle Entrate – Risposta 198/2025

Con la risposta n. 198/2025 , l’ Agenzia delle Entrate conferma che le somme erogate una tantum, in conseguenza di una modifica regolamentare del trattamento previdenziale riservato ai dipendenti, possono fruire del regime fiscale a tassazione separata in quanto considerate equipollenti al TFR.

Nel caso esaminato l’istante  rappresenta di aver sottoscritto un nuovo Regolamento sull’ordinamento giuridico ed economico del personale e di aver previsto un nuovo regime previdenziale che prevede un diverso trattamento di fine rapporto denominato Indennità di fine rapporto (IFR).

Il nuovo regime stabilisce che, in sede di corresponsione delle spettanze di fine rapporto, ai dipendenti in servizio alla data del 7 aprile 2020 che optino per uno dei regimi previsti (vale a dire IFR, TFR + fondo di previdenza complementare o solo TFR), l’Istante dovrà corrispondere misure compensative relative al periodo 1° gennaio 2020 31 dicembre 2024 volte a neutralizzare gli effetti della modifica del sistema previdenziale.

Tali misure compensative – secondo l’ istante – essendo corrisposte unitamente alle spettanze di fine rapporto rientrano nel campo di applicazione dell’art. 17 del TUIR e quindi possono fruire del regime della tassazione separata. con l’applicazione dell criterio della media aritmetica basata sul numero di anni di maturazione ai sensi dell’ art. 19, comma 2-bis del TUIR.

Tenuto conto delle finalità e delle modalità di determinazione delle misure compensative, l’Agenzia delle Entrate è concorde con quanto sostenuto dall’istante.

A tal fine richiama il testo dell’art. 17, c. 1, lett. a) del TUIR secondo cui sono soggette a tassazione separata il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile e le indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente.

L’ Amministrazione , altresì, precisa che l’equipollenza non può che corrispondere al ”equivalenza”, con la conseguenza che vi rientrano senza esclusioni tutte le indennità che vengono corrisposte ”in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato” (ex art. 2120, primo comma).

Pertanto – conclude l’Agenzia – le somme compensative, riconducibili ad un’ipotesi di cessazione del rapporto previdenziale anche se non sempre contestuale alla cessazione del rapporto di lavoro, sono legittimamente assoggettabili a tassazione separata anche se erogate in costanza di rapporto di lavoro, in quanto strettamente connesse alla maturazione di un trattamento di fine servizio.

Nel caso di specie, la qualifica delle somme compensative come indennità equipollenti trova la sua giustificazione nel fatto che : 

• sono corrisposte una tantum e una sola volta nel corso del rapporto, in connessione con un mutamento normativo dell’assetto previdenziale;

• sono commisurate alla durata del servizio prestato nel periodo 2020–2024;

• hanno una funzione sostitutiva, finalizzata a colmare la perdita derivante dal passaggio da un regime previdenziale ad un altro ;

• sono stabilite da una delibera regolamentare.

Consulta dei Servizi: Aperto il tavolo tecnico del MIT sulla revisione dei prezzi nei contratti di servizi

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Si è aperto al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il Tavolo tecnico dedicato alla revisione dei prezzi nei contratti di servizi, alla presenza del Vice Ministro Edoardo Rixi.

L’iniziativa, promossa dalla Consulta dei Servizi, risponde alla necessità di garantire equilibrio contrattuale e corretta applicazione delle clausole di revisione dei prezzi previste dal nuovo Codice dei contratti pubblici (art. 60).

ASSIV, membro della Consulta dei Servizi, partecipa ai lavori per tutelare il comparto della vigilanza privata, settore ad alta intensità di manodopera, contribuendo a definire indirizzi operativi che salvaguardino imprese, lavoratrici e lavoratori, oltre alle stazioni appaltanti.

La notizia è stata ripresa oggi da Il Sole 24 Ore, che ha sottolineato l’appello urgente della Consulta dei Servizi per una revisione delle soglie, proponendo di abbassare l’attuale limite dal 5% al 3%, così da tutelare imprese, occupazione e qualità dei servizi.