ASSIV: Cashback? Smettiamo di scambiare l’effetto per la causa!

S News – “Il programma di attribuzione dei rimborsi in denaro per acquisti effettuati mediante l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici […] è sospeso […]”. Con l’art. 1 del cosiddetto decreto lavoro, uscito in Gazzetta Ufficiale il 30 giugno scorso (DL 99/2021), il governo ha deciso di sospendere per il secondo semestre del 2021 il cosiddetto Cashback. L’attuale Esecutivo, già pochi giorni dopo il suo insediamento, aveva manifestato alcune perplessità su un meccanismo che, nelle intenzioni di chi l’ha voluto, avrebbe dovuto incentivare l’utilizzo delle carte di pagamento in sostituzione del contante e costituire uno strumento di contrasto ai fenomeni di elusione ed evasione fiscale. Le perplessità sull’iniziativa trovavano la loro ragion d’essere sulla sostanziale inadeguatezza di uno strumento che voleva essere, al tempo stesso, meccanismo premiante, redistributivo e di contrasto a pratiche illecite. Troppe cose, troppo confuse e prive di una corretta analisi costi-benefici, senza peraltro sanzioni effettive per chi, pur dovendo, continua a non consentire il pagamento tramite POS. Volendo, peraltro, astenersi dal sottolinearne le molteplici difficoltà tecniche di attuazione, con ritardi, errori e buchi nel sistema.

Nel dettaglio, il cashback voleva incentivare i cittadini all’uso della moneta elettronica, ma diverse indagini degli scorsi mesi hanno accertato, con un trascurabile margine d’errore, come le carte di pagamento siano state utilizzate prevalentemente da chi già ne faceva un utilizzo cospicuo, che ha quindi visto riaccreditato sul suo conto corrente somme immaginate per altri. Il cashback, inoltre, è stato pensato quale strumento di contrasto all’evasione fiscale, ma senza sanzioni pesanti per chi rifiuta di accettare i pagamenti elettronici, tout court o sotto una certa somma, l’efficacia in tal senso è prossima allo zero. Pensare poi che la causa dell’economia sommersa nel nostro Paese sia dovuta al contante, significa guardare il dito e non la luna.
Anche per queste ragioni il governo Draghi ha ritenuto eccessivo un costo stimato per lo Stato fino a 4,5 miliardi di euro. La sospensione della misura introdotta con il decreto lavoro consentirà l’utilizzo delle somme non ancora impegnate, pari a circa 2,5 miliardi di euro, per sostegni alle imprese. Nella speranza che tali risorse consentano almeno l’avvio di riforme strutturali ineludibili.

Assiv non può che valutare positivamente questa decisione, peraltro in linea con perplessità che già alla fine dello scorso anno Yves Mersch, membro uscente del Consiglio Direttivo della BCE, aveva evidenziato in una lettera inviata all’ex ministro dell’Economia e Finanze, Roberto Gualtieri, sottolineando come l’iniziativa italiana sul cashback fosse “sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che tale meccanismo potrebbe avere sul sistema di pagamento in contanti ed in quanto compromette l’obiettivo di un approccio neutrale nei confronti dei vari mezzi di pagamento disponibili”.

L’analisi di Mersch ha ribadito come non sia mai stato dimostrato che la limitazione all’uso del contante generi risultati significativi nella lotta all’evasione fiscale, mentre è certo che sconsiderate misure restrittive provocano disorientamento in ampie fasce della popolazione, spesso le più fragili, nonché, aggiungiamo noi, contribuiscono a determinare la crisi del settore del Trasporto Valori, che oggi impiega migliaia di persone, è parte integrante del comparto della sicurezza privata e ha investito capitali importanti per garantire altissimi standards a un servizio che resta centrale per la nostra economia.

Anche da un punto di vista sociologico ci convince l’analisi di Mersch, quando sostiene che “i pagamenti in contanti agevolano l’inclusione dell’intera popolazione nell’economia”.

La popolazione italiana ha un’età media tra le più alte del mondo e l’utilizzo di mezzi di pagamento elettronico necessita di uno profondo cambiamento culturale, per il quale c’è bisogno di investire ingenti risorse economiche sotto il profilo dell’educazione al cashless. Non parliamo poi dei deficit infrastrutturali che ancora ci affliggono. Chi in questi mesi non ha sentito parlare di digital divide? Chi vive nelle grandi città ha spesso una visione distorta del reale tessuto socioeconomico del nostro Paese. Non bisogna invece mai dimenticare che in Italia hanno meno di 5.000 abitanti 5.509 comuni, circa il 70% del totale, e molti di questi sono localizzati in zone dove non sempre arriva una linea internet veloce e stabile, tale da garantire un effettivo vantaggio economico all’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici. Ecco allora qual è il punto. Affrontiamo prima i problemi infrastrutturali e di alfabetizzazione digitale, smettiamo di scambiare l’effetto per la causa, poi penseremo al resto: “Il saggio muta consiglio, lo stolto resta della sua opinione”.

a cura di Maria Cristina UrbanoPresidente ASSIV

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