Caldo intenso e lavoro: le misure di prevenzione tra ordinanze regionali e misure contrattuali

I potenziali effetti dannosi delle condizioni dell’ambiente naturale sulla salute della persona che lavora hanno allarmato, anche quest’anno, le regioni le quali da qualche giorno si stanno precipitando ad emettere ordinanze attraverso le quali decretare il blocco delle attività lavorative.

Si tratta di una strategia di prevenzione (di stampo precauzionale) certamente non nuova (cfr. G. Piglialarmi, Contro il “rischio caldo” e “a difesa del lavoro” arrivano (di nuovo) le Regioni, in Bollettino ADAPT 22 luglio 2024, n. 29) e che sotto il profilo tecnico-giuridico trova una legittimazione nell’art. 117, comma 3 Cost., il quale include tra le “materie concorrenti” in cui Stato e regioni possono legiferare anche la “tutela e la sicurezza del lavoro”. Le ordinanze regionali, dunque, si pongono nel solco tracciato dalla Carta Costituzionale e adottano misure coerenti con le Linee di indirizzo per la protezione dei lavoratori dal calore e dalla radiazione solare adottate dalla Conferenza Stato-regioni il 19 giugno 2025.

È bene ricordare, peraltro, che le predette ordinanze non introducono alcun “nuovo” obbligo di protezione o di tutela per i lavoratori, posto che il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., deve sempre garantire “nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Misure che certamente devono essere idonee a tutelare il lavoratore anche dal c.d. rischio da stress termico, la cui insorgenza pure è legata alle elevate temperature estive. In altri termini, l’ordinamento già contempla l’obbligo di predisporre delle misure di tutela in favore dei lavoratori, la cui adozione (obbligatoria) spetta al datore di lavoro e in assenza delle quali il lavoratore potrebbe legittimamente rifiutarsi di svolgere la prestazione (art. 1460 cod. civ.). Sotto questo profilo, dunque, le ordinanze vanno semmai a rafforzare quell’obbligo di prevenzione già posto dal Codice Civile in capo all’imprenditore e la relativa inosservanza, oltre a concretizzare una violazione dell’art. 2087 cod. civ., comporta anche l’applicazione dell’art. 650 cod. pen.

Relativamente al merito delle misure adottate, invece, rispetto all’anno precedente, i provvedimenti presentano non poche novitàÈ venuto meno, infatti, quell’approccio eccessivamente “dirigista” e “precauzionale” che si concretizzava nell’imporre il radicale blocco di alcune attività d’impresa, senza lasciare spazio all’impiego di misure di prevenzione alternative all’arresto delle attività di lavoro, che possono consentire – anche tramite la leva della contrattazione collettiva – di bilanciare le esigenze di tutela dei lavoratori con la libertà d’impresa, pure costituzionalmente tutelata (art. 41 Cost.). Le regioni hanno quindi riconosciuto e preso atto dell’esistenza di uno spazio di regolazione della prevenzione in materia alle parti sociali, quali soggetti più prossimi alle esigenze espresse da imprese e lavoratori.

Entrando nel dettaglio dei provvedimenti, tutte le ordinanze consultate impongono la sospensione delle attività di lavoro nelle ore più calde della giornata (e cioè dalle 12.30 alle 16.00), sebbene limitatamente ai giorni in cui il rischio da shock termico risulta elevato (un dato che è comunicato di volta in volta sul sito www.worklimate.it, realizzato dall’INAIL congiuntamente con il CNR). In non pochi casi, è data facoltà ai singoli comuni di introdurre misure precauzionali o preventive ulteriori purché non contrastino con l’ordinanza emessa dalla regione.

Tuttavia, come accennato, alcune ordinanze non escludono la possibilità di individuare delle misure di prevenzione volte ad evitare il prolungamento del blocco delle attività: l’ordinanza n. 1 della regione Abruzzo emessa il 30 giugno 2025, ad esempio, fa salva l’efficacia degli accordi aziendali sottoscritti dalle imprese con le organizzazioni sindacali volti ad introdurre misure di tutela per i lavoratori a fronte del rischio termico, purché queste siano migliorative e non contrastino con il provvedimento in questione (nello stesso senso si esprime l’ordinanza n. 34 della regione Veneto emessa il 1° luglio 2025). Sotto questo profilo, ancora più incisiva è l’ordinanza n. 150 della regione Emilia-Romagna emessa il 30 giugno 2025, la quale prevede la possibilità per le imprese interessate di adottare adeguate misure organizzative, tecniche e procedurali che evitino il prolungamento del blocco dell’attività, quali (a titolo esemplificativo e non esaustivo): a) modifiche degli orari di lavoro (anticipo dell’orario di inizio mattutino e suo eventuale prolungamento nelle ore serali); b) effettuazione di lavorazioni al coperto o all’ombra, anche a mezzo di tettoie fisse o mobili; c) riprogrammazione delle attività; d) frequenti turnazioni dei lavoratori esposti e frequenti pause in zone ombreggiate; e) utilizzo di carrelli elevatori o macchine cabinate. Peraltro, l’ordinanza evidenzia che “tali misure possano essere adottate anche su istanza dei lavoratori, per il tramite dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS/RLST)” o comunque tramite le organizzazioni sindacali.

Nello stesso senso si esprime anche l’ordinanza n. 350 della regione Puglia, emessa il 18 giungo 2025, che tra le misure organizzative a carattere preventivo include: a) l’anticipazione dell’orario di inizio delle attività; b) l’aumento delle pause in zone ombreggiate con acqua potabile disponibile; c) la fornitura di abbigliamento tecnico traspirante o ventilato; d) la rotazione dei lavoratori e la riduzione dell’impegno fisico; e) l’attivazione del “sistema del compagno” per l’identificazione precoce dei sintomi di calore; f) l’indicazione multilingue ai lavoratori sulle misure e i comportamenti da adottare; g) tutte le altre misure previste da specifici accordi sindacali in materia. Peraltro, l’ordinanza pugliese valorizza anche il ruolo del medico competente, il quale può disporre eventuali prescrizioni o limitazioni sulla base della valutazione del rischio calore, attenzionando i soggetti particolarmente sensibili al suddetto rischio (quali lavoratori anziani, migranti, donne in gravidanza, soggetti con patologie croniche o trattamenti farmacologici che aumentano la suscettibilità allo stress termico).

Singolare è il caso dell’ordinanza n. 2 della regione Toscana, emessa il 25 giugno 2025, che non considera nell’articolato alcun intervento della contrattazione al riguardo mentre l’ordinanza della regione Piemonte, emessa il 3 luglio 2025, specifica che la misura interruttiva dell’attività di lavoro trova applicazione «ove non sia possibile introdurre misure di riduzione del rischio».

Relativamente ai destinatari, invece, si distingue l’ordinanza dell’Emilia-Romagna la quale, oltre ad introdurre il blocco dell’attività lavorativa fino al 15 settembre (anziché fino al 31 agosto) per le imprese agricole, edili e quelle che si occupano di attività estrattive – si tratta dei settori maggiormente attenzionati nelle ordinanze – include anche le imprese della logistica, sebbene limitatamente ai lavoratori impiegati nei “piazzali destinati in via esclusiva e permanente al deposito merci, con esclusione delle pertinenze dei magazzini coperti, in cui il lavoro si svolge all’aperto senza che sia possibile per i lavoratori ripararsi dal sole e dalla calura nei momenti della giornata caratterizzati da un notevole innalzamento della temperatura, in assenza di adeguate e apposite misure di tutela e sicurezza”.

Degne di nota sono l’ordinanza n. 1 della regione Campania, emessa il 18 giungo 2025, l’ordinanza n. 1 della regione Sicilia emessa il 26 giugno 2025, l’ordinanza n. 1 della regione Sardegna emessa nello stesso giorno e l’ordinanza n. 348 della regione Lombardia emessa il 1° luglio 2025, le quali esentano dal divieto le pubbliche amministrazioni, i concessionari di pubblico servizio e i loro appaltatori nel caso di interventi di pubblica utilità, fermo restando l’obbligo per i suddetti datori di lavoro di adottare tutte le misure necessarie volte a ridurre il rischio di esposizione dei lavoratori alle alte temperature. Nello stesso senso si pronunciano anche l’ordinanza n. 1 della Regione Marche, emessa il 1° luglio 2025 e l’ordinanza n. 2 della regione Toscana, emessa il 25 giugno 2025. Anche l’ordinanza n. 1 emessa dalla regione Calabria il 10 giugno 2025 precisa che la misura della sospensione dell’attività lavorativa nella fascia oraria ad alto rischio non si applica “per gli interventi che, a seguito di eventi imprevedibili, siano improrogabili e indispensabili al ripristino di servizi essenziali”.

Le ordinanze emesse dalla regione Emilia-Romagna e dalla regione Veneto, invece, puntualizzano che per quanto concerne gli appaltatori che lavorano per conto della Pubblica Amministrazione, laddove necessario i lavori si interrompono, senza che da tale sospensione ne possa derivare l’applicazione di penali contrattuali o la risoluzione del contratto stesso, trovando peraltro applicazione al caso di specie l’art. 121, comma 6 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023).

Gran parte dei provvedimenti emessi quest’anno dalle regioni a ridosso dell’ondata di calore che sta attraversando la Penisola, riconoscono la centralità della contrattazione collettiva nella gestione del rischio da shock termico, pur lasciando sullo sfondo il rimedio precauzionale del blocco delle attività. E’ tangibile, del resto, che la contrattazione collettiva si vada progressivamente sensibilizzando sulla prevenzione rispetto alle specificità climatiche e microclimatiche dell’ambiente di lavoro, come testimoniano non solo i contratti collettivi territoriali del settore agricolo, che disciplinano numerosi istituti volti a rispondere a esigenze organizzative mutevoli in funzione del carattere meteoropatico, oltreché stagionale, del settore (ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2015), ADAPT University Press, 2016, parte generale, sezione II) ma anche il recente Protocollo quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro, sottoscritto dalle parti sociali il 2 luglio 2025.

In questo documento, le parti prendono atto che i rischi derivanti dalle elevate temperature possono essere gestiti attraverso interventi contrattuali che tengano conto anche dello svolgimento delle mansioni, dei processi lavorativi e anche delle differenze territoriali. Le parti si impegnano quindi ad “attivare tavoli contrattuali nazionali, settoriali, territoriali o aziendali, volti a declinare le buone prassi e le misure necessarie” per prevenire lo shock termico (a partire dalla formazione e dalla sorveglianza sanitaria fino ad arrivare alla turnistica), con l’obiettivo di far diventare tali soluzioni “parte integrante dei relativi CCNL vigenti”. In questi passaggi si intravede una presa di coscienza da parte dei sindacati del problema del cambiamento climatico, che ora si presenta su una scala più vasta e non più marginalizzato al c.d. lavoro outdoor.

Last but not least, le parti sottoscriventi il Protocollo chiedono anche apertamente al Ministero del Lavoro: a) di farsi carico di automatizzare (e quindi sburocratizzare) il ricorso agli ammortizzatori sociali in caso di sospensione o riduzione dell’attività di lavoro per le elevate temperature; b) di prevedere “lo scomputo” di tali periodi “dal limite massimo di durata della cassa integrazione” trattandosi di “eventi oggettivamente non evitabili”; c) di consentire, con apposito provvedimento, alle imprese di ritenersi esonerate da eventuali responsabilità se il ritardo dei lavori e delle consegne è legato agli attuali eventi climatici.

Le misure adottate nel Protocollo non dovrebbero collidere con quelle previste a livello territoriale dalle ordinanze regionali, posto che da un lato, molte di queste riconoscono comunque uno spazio operativo alla contrattazione collettiva (puntuale è l’ordinanza n. 1 emessa dalla Regione Marche la quale fa salvi «eventuali specifici accordi aziendali e/o sindacali volti a tutelare la salute dei lavoratori […] anche in attuazione del Protocollo quadro tra Governo, Sindacati e Categorie economiche per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro»); anzi, per l’impresa che si adegua alle misure di prevenzione di matrice negoziale pattuite a livello categoriale o territoriale, il Protocollo chiede, tramite l’INAIL, il riconoscimento di una premialità. Dall’altro lato, a fronte della sospensione obbligata dell’attività lavorativa imposta dai provvedimenti regionali, dovrebbe intervenire il sistema degli ammortizzatori sociali, una volta che il Ministero del Lavoro deciderà di dare attuazione alle misure speciali richieste dalle parti sociali.

Rispetto alle misure preventive disposte dal Protocollo, resta sempre vivo il dubbio – già manifestato in passato – del perché le regioni non si siano mai preoccupare di inserire tra l’elenco dei comparti soggetti alla sospensione nelle ore più calde anche quello del food delivery, un lavoro che viene svolto sostanzialmente per strada e con una alta esposizione alle temperature elevate. Tant’è che la giurisprudenza era intervenuta per puntualizzare l’applicazione di alcune misure di prevenzione, pena la violazione dell’art. 2087 cod. civ. (F. Capponi, La prevenzione del rischio lavorativo da esposizione a temperature elevate: il caso dei rider sotto la lente dei giudici, in Bollettino ADAPT 5 settembre 2022, n. 29). Occorre evidenziare, però, che la regione Piemonte si è distinta per aver deciso di estendere in un secondo momento la misura sospensiva dell’attività anche ai rider, come è stato riportato su numerosi organi di stampa. Sullo sfondo, resta la complessa vicenda che ha interessato Glovo, uno dei colossi del settore, che aveva annunciato il riconoscimento di un bonus economico ai riders – determinato sulla base di ogni consegna – per l’acquisto di crema solare, acqua e sali minerali. Una misura che però è stata successivamente ritirata dopo un confronto con le organizzazioni sindacali (cfr. Marcia indietro di Glovo, stop al “bonus caldo” da 5 cent per lavorare a 35 gradi, in Il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2025).

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Bollettino ADAPT 7 luglio 2024, n. 26

spot_imgspot_img
spot_imgspot_img
spot_imgspot_img
Segui il blog di Maria Cristina Urbano sull'Huffington Post

Iscriviti alla newsletter

Altri articoli