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Indagine Confindustria sul lavoro 2020

Indagine Confindustria sul lavoro 2020

di Giovanna Labartino, Francesca Mazzolari e Giovanni Morleo

  • L’annuale indagine Confindustria sulle condizioni dell’occupazione nelle imprese associate, andata sul campo nei primi mesi del 2020, fornisce dettagliate informazioni, riferite al 2019, su struttura dell’occupazione e gravità delle assenze nelle imprese associate. In allegatoa questa pagina sono disponibili tavole riassuntive e comparative relative alle principali variabili oggetto di indagine.
  • Come in edizioni precedenti, l’indagine ha inoltre raccolto informazioni sulle politiche aziendali adottate dall’imprese, quali l’erogazione di premi variabili collettivi, la messa a disposizione di welfare al personale non dirigente, il lavoro agile, riferite al momento della compilazione. Dato che la raccolta dei questionari è avvenuta prevalentemente prima dell’avvio dell’emergenza sanitaria, il quadro rilevato su diffusione e caratteristiche delle politiche aziendali può essere considerato descrittivo della situazione a inizio 2020, pre-pandemia.
  • A inizio 2020 nell’industria in senso stretto il 68,5% dei lavoratori erano coperti da un contratto aziendale che prevede l’erogazione di premi variabili collettivi; la percentuale scende al 63,7% nei servizi.
  • La quota di imprese che stipula contratti di contenuto economico si è fermata mediamente al 31,9% nell’industria al netto costruzioni e al 17,5% nei servizi – percentuali più basse rispetto a quelle della forza lavoro coperta data la maggiore diffusione dei premi nelle imprese più grandi.
  • Oltre alla corresponsione di premi, più di un quarto dei contratti aziendali prevedeva la possibilità che questi fossero convertiti in welfare (30%).
  • A inizio 2020 il 71,5% delle imprese associate metteva a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti almeno un servizio di welfare. La forma più diffusa si conferma l’assistenza sanitaria (60,0%), seguita da previdenza complementare (56,7%), mense (24,4%) e fringe benefits (22,2%). Più bassa la diffusione di “carrello della spesa” (10,2%) e contributi per l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti (5,2%).
  • A inizio 2020 il 16,6% delle imprese associate (il 29,3% tra quelle con almeno 100 dipendenti) aveva già introdotto forme di “lavoro agile”, ovvero modalità di svolgimento del lavoro flessibili in termini di orario e luogo. Con riferimento alla forza lavoro nelle imprese associate, lo smart working risulta essere stato utilizzato dal 31,3% dei dipendenti. Sondaggi condotti nel corso dell’anno (si veda per esempio l’indagine Confindustria sugli effetti della pandemia da Covid-19 per le imprese italiane, quarta edizione a questo link) hanno registrato un incremento significativo del ricorso al lavoro agile nel corso del 2020, in applicazione delle misure di contenimento della diffusione del virus. Sarà, quindi, di particolare rilievo tenere monitorata la diffusione dello smart working nelle prossime edizioni dell’indagine, per valutare su quali livelli si stabilizzerà l’adozione su un orizzonte di tempo più lungo.

 1. La fotografia delle politiche aziendali adottate nel Sistema Confindustria a inizio 2020

Un’impresa su quattro applica un contratto aziendale, quasi una su tre nell’industria

Secondo la rilevazione condotta tra febbraio e aprile 2020, si stima che il 24,1% delle aziende associate a Confindustria applicasse un contratto collettivo aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo. Si riscontrano ampie differenze per settore e dimensione aziendale. Nell’industria al netto delle costruzioni la diffusione della contrattazione aziendale di contenuto economico si attesta in media al 31,9% (contro il 17,5% nei servizi), passando dal 7,9% tra le aziende fino a 15 addetti al 39,5% tra quelle con 16-99 addetti, e raggiungendo il 78,1% tra quelle con 100 e più addetti.

Dato che i contratti aziendali sono più diffusi tra le imprese di maggiore dimensione, la copertura dei premi variabili collettivi è più elevata se espressa in termini di lavoratori: 66,1% su un totale di oltre 5 milioni di lavoratori occupati in imprese associate a Confindustria. Tra le imprese dei servizi i lavoratori coperti sono il 63,7%, nell’industria al netto delle costruzioni il 68,5% (Figura A).

Premi collettivi incidono più per operai e impiegati

Per il personale non dirigenziale, l’incidenza dei premi variabili collettivi sulla retribuzione annua complessiva è simile per operai e impiegati, mediamente pari al 3,0%, mentre tra i quadri scende al 2,6%. Nell’industria al netto delle costruzioni l’incidenza dei premi è mediamente più elevata che nei servizi e risulta particolarmente alta nelle imprese oltre i 100 dipendenti: 4,5% per gli operai e 4,1% per gli impiegati.

Non solo premi nei contratti aziendali

Tra le imprese che applicano un contratto aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo, nel 30,2% dei casi lo stesso contratto prevede anche la possibilità (su richiesta del lavoratore) che il premio sia convertito in welfare. Per la prima volta quest’anno l’indagine ha rilevato, inoltre, se l’opzione è stata effettivamente esercitata: nell’industria in senso stretto, il 78,1% delle aziende ha avuto almeno un lavoratore che ha esercitato l’opzione; nei servizi la percentuale si attesta al 53,6%.

L’opzione di conversione di premi in welfare è più diffusa al crescere della dimensione aziendale: nell’industria in senso stretto è prevista dal 18,3% dei contratti in imprese fino a 15 dipendenti, dal 34,8% in quelle con 16-99 addetti e da oltre la metà (51,8%) in quelle con 100 addetti e più.

Per quanto riguarda altre previsioni contenute nei contratti aziendali, forme di partecipazione dei lavoratori agli utili sono previste nel 5,2% dei casi, mentre forme di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione sono previste nel 5,6% dei casi.

Variegata l’offerta di benefit ai dipendenti

Da qualche anno l’indagine monitora la diffusione del welfare a livello aziendale. I risultati indicano che a inizio 2020 il 71,5% delle imprese associate a Confindustria metteva a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti uno o più servizi di welfare. La diffusione del welfare è più elevata nell’industria e nelle imprese grandi; come nel caso dei premi collettivi, la maggiore diffusione nelle aziende di grande dimensione eleva la quota complessiva di lavoratori a cui tali servizi sono messi a disposizione.

Nel welfare aziendale prevale l’offerta di sanità integrativa e previdenza complementare. Nello specifico, quasi la metà delle imprese associate versa contributi in fondi di assistenza sanitaria integrativa a favore dei propri dipendenti (60,0%), principalmente in applicazione di quanto previsto dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (51,7%). La diffusione della previdenza complementare è al 56,7%, anch’essa soprattutto in attuazione di CCNL (49,9%). Per entrambe le forme di welfare la percentuale di imprese che le mettono a disposizione dei propri dipendenti schizza tra quelle grandi, in particolar modo nell’industria (90,1% e 91,0% rispettivamente).

In termini di diffusione, seguono le somministrazioni di vitto (per esempio tramite mense aziendali) e i fringe benefit (tra cui autovetture ad uso promiscuo o prestiti agevolati), messi a disposizione da circa un’azienda su 5 (24,4% e 22,2%), in entrambi i casi principalmente per decisione unilaterale (15,1% e 18,1%).

Somme e servizi con finalità di educazione, istruzione o ricreazione rivolti ai dipendenti sono erogati dal 7,0% delle imprese. Una quota molto simile li eroga a favore di familiari dei dipendenti (7,2%). Le percentuali si quadruplicano tra le grandi imprese.

Mediamente al 10,2% (21,0% per le grandi imprese) la diffusione del “carrello della spesa”, un altro tipo di erogazione che offre un concreto sostegno al potere di acquisto dei dipendenti, ancor più se distribuito con accordi con specifici esercenti. Al 4,0% la diffusione di servizi di trasporto collettivo (12,3% tra le grandi imprese industriali).

Al 5,2% la diffusione di forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, voce che probabilmente prenderà peso in futuro sia per la recente estensione degli incentivi fiscali a questa forma di welfare sia per la crescente domanda a fronte dell’invecchiamento della popolazione. Nell’industria in senso stretto, tra le grandi imprese ormai più del 16% offre questo tipo di benefit ai dipendenti.

Come già messo in evidenza, la diffusione del welfare aziendale cresce con la dimensione di impresa. Tra le imprese più grandi si registra anche l’incidenza più elevata della previsione di welfare da contratto aziendale. Concentrandoci sui tipi di benefit più diffusi, tra le imprese con 100 o più addetti, il 10,8% offre assistenza sanitaria integrativa prevista da contratto aziendale, il 9,9% previdenza complementare e il 20,2% qualche forma di vitto. Nel caso dei fringe benefit, invece, la previsione da contratto aziendale scende al 6,3%, perché di gran lunga prevalente rimane la concessione (per decisione) unilaterale del datore di lavoro (Tabella A).

Lavoro agile in un’azienda su sei già prima della pandemia

Per il terzo anno consecutivo, l’indagine Confindustria ha approfondito il tema dell’organizzazione del lavoro, monitorando la diffusione di forme di lavoro agile, ovvero modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, senza postazione fissa. Sulla base della rilevazione effettuata nei primi mesi del 2020, quindi presumibilmnete rappresentativa della situazione pre-emergenza sanitaria, si stima che il 16,6% delle imprese associate a Confindustria avesse già introdotto forme di smart working, quasi una su 3 tra quelle con 100 o più addetti (29,3%). La diffusione era mediamente più ampia nei servizi che nell’industria (22,2% rispetto a 12,2%).

Con riferimento alla forza lavoro nelle imprese associate, lo smart working risulta essere stato utilizzato dal 31,3% dei dipendenti. L’indagine del 2020 è stata la prima edizione a monitorare anche l’intensità di utilizzo dello smart working, e indica che la percentuale di lavoratori che hanno fatto ricorso a forme di lavoro agile si attestava, pre-emergenza sanitaria, al 47,4% nei servizi e al 20,6% nell’industria al netto costruzioni, ed era più ampia nelle imprese più piccole (41,1% in quelle fino a 15 dipendenti, intorno al 20% sia in quelle di medie e grandi dimensioni).

Con riferimento alle modalità di disciplina, nella maggior parte dei casi, se introdotto, lo smart working è regolato solo da accordi individuali (69,0%). Vi è un 19,1% di imprese che tuttavia ha introdotto anche una regolamentazione aziendale e un 10,0% che include il tema nella contrattazione collettiva aziendale. Nelle imprese più grandi è più frequente che agli accordi individuali si affianchi anche una regolamentazione aziendale (24,7% dei casi) e/o la contrattazione aziendale (17,6%).

2. Monitoraggio del fenomeno delle assenze dal lavoro nel 2019

Tasso di assenteismo più alto in imprese più grandi

Nel corso del 2019 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.600. Di queste, 105 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non). Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) si è dunque attestato al 6,6%.

L’incidenza delle assenze, come calcolata sulla base dei dati dell’indagine Confindustria sul lavoro, è risultata simile nell’industria in senso stretto (6,4%) e nei nei servizi (6,8%).

Il tasso di assenteismo si è confermato crescente all’aumentare della dimensione aziendale: 7,3% in quelle con 100 e più addetti, 3,6% in quelle fino ai 15 (Figura B).

Causali di assenza diverse per genere

La malattia non professionale si è confermata la causa più frequente di assenza (3,2% delle ore lavorabili), seguita dai congedi retribuiti (1,3%) e dagli altri permessi retribuiti (1,2%), che includono i permessi sindacali e quelli per visite mediche o accompagnamento parentale. L’incidenza delle assenze è risultata pari al 5,7% tra gli uomini e al 8,3% tra le donne. I congedi parentali spiegano la quasi totalità della differenza, essendo pari al 3,2% delle ore lavorabili per le donne e allo 0,6% per gli uomini, a causa degli oneri di accudimento familiare, visto che quelli a carico del genere femminile sono di gran lunga maggiori.

Appendice: Le caratteristiche dell’Indagine annuale Confindustria sul lavoro

Edizione 2020

Questa nota esamina i risultati dell’Indagine Confindustria sul Lavoro del 2020, che come in precedenti edizioni è andata sul campo nei primi mesi dell’anno. La somministrazione dei questionari da parte delle Associazioni del Sistema Confindustria alle proprie imprese associate ha avuto inizio il 10 febbraio 2020, con un termine inizialmente fissato per il 20 marzo. L’emergenza sanitaria scoppiata a fine febbraio e le misure restrittive imposte nelle settimane successive hanno ovviamente creato una cesura anche nello svolgimento dell’indagine. Il campione di quest’anno è costituito da 1.935 imprese – una numerosità più che dimezzata rispetto alle edizioni precedenti, in ragione del fatto che la raccolta si è principalmente concentrata nelle prime settimane dall’avvio (anche se il termine della raccolta è stato esteso di un mese rispetto a quello inizialmente fissato). Complessivamente a fine 2019 le imprese che compongono il campione occupavano 355.771 lavoratori dipendenti a livello nazionale.

Come in precedenti edizioni, il questionario di quest’anno include domande su: (i) struttura e dinamica della manodopera occupata con diverse tipologie contrattuali; (ii) orari e assenze dal lavoro, limitatamente al personale a tempo indeterminato full-time; (iii) politiche aziendali adottate dall’imprese, quali l’erogazione di premi variabili collettivi, la messa a disposizione di welfare al personale non dirigente, il lavoro agile.

Nella presentazione dei risultati dell’indagine, le imprese del campione sono classificate per comparto sulla base del CCNL applicato (Tabella A1) e per dimensione aziendale sulla base del numero di occupati alle dipendenze a dicembre 2019. Dettagli sulla composizione del campione per comparto e numero di addetti sono riportati nella Tabella A2.

In questa nota (come in quelle elaborate a commento di edizioni passate dell’Indagine Confindustria sul lavoro) i risultati medi a livello nazionale sono ponderati sulla base della distribuzione (per 11 comparti e 3 classi dimensionali) degli occupati nel totale delle imprese associate a Confindustria.

Gli orari e le assenze dal lavoro: definizioni e metodologia di calcolo

I giorni lavorabili sono calcolati sottraendo ai 365 giorni dell’anno:

  • i sabati e le domeniche (104 giorni) e le festività infrasettimanali nel 2019 (9 giorni);
  • il dato aziendale dei giorni di ferie, quelli di P.A.R. (ex festività e riduzione orario di lavoro) e quelli di permesso per banca ore e conto ore.

Le ore lavorabili annue sono calcolate:

  • moltiplicando i giorni lavorabili per l’orario settimanale normale del personale a tempo pieno al netto delle pause retribuite, diviso per cinque;
  • sottraendo le ore pro-capite di Cassa Integrazione Guadagni effettuate dal personale.

Il tasso di assenteismo è calcolato come il rapporto percentuale tra le ore di assenza e le ore lavorabili, ed è disponibile per sesso, qualifica e tipologia di assenza.

I risultati si basano sulle risposte fornite dalle 1.819 aziende del campione che hanno compilato la sezione del questionario relativa agli orari e alle assenze dal lavoro.

Fonte: Confindustria

Maria Cristina Urbano: cashback, perché la Bce ha ragione

Cashback, perché la Bce ha ragione

Huffington Post – È sulla bocca di tutti in questi giorni, ma in pochi hanno piena consapevolezza di cosa stia accadendo in settori che hanno basato il loro business su un’impostazione opposta. Ma se noi non ce ne siamo del tutto accorti, qualcuno invece che ha un ruolo di rilievo a livello europeo, e in particolare nella BCE, ci ha bacchettato. Sto parlando del cashback e di quanto Yves Mersch, membro uscente del Consiglio Direttivo Bce, ha scritto in una lettera inviata al Ministro Gualtieri, nella quale si afferma che l’iniziativa italiana è “sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che tale meccanismo potrebbe avere sul sistema di pagamento in contanti ed in quanto compromette l’obiettivo di un approccio neutrale nei confronti dei vari mezzi di pagamento disponibili”. 

La considerazione obbligata quando si vogliono valutare i benefici derivanti da misure quali il cashback, come già in passato ho avuto modo di ricordare, è che non è stato dimostrato, e non ci sono evidenze in tal senso, che la limitazione all’uso del contante generi un risultato significativo nella lotta all’evasione fiscale, mentre è possibile affermare con assoluta certezza che lo sconsiderato uso di misure restrittive al suo utilizzo ha provocato, e provocherà, una più profonda crisi del settore trasporto e trattamento denaro, che già dovrà ristrutturarsi, anche in termini occupazionali, per far fronte ad una significativa contrazione del volume di affari che si prevede strutturale, dovuta all’incremento dell’uso della moneta elettronica connessa agli acquisti on line, ormai entrati a far parte del “modus consumandi” della popolazione. 

E ancora, il meccanismo del cashback, che strizza l’occhio ai consumatori, incentivando la propensione al consumo per mezzo di un rimborso di denaro sui loro conti correnti (vedremo con che tempi! Ma questo è un altro discorso…), non tiene nella debita considerazione “che la possibilità di pagare in contanti rimane particolarmente importante per taluni gruppi sociali, che, per varie legittime ragioni, preferiscono utilizzare il contante piuttosto che altri strumenti di pagamento. Il contante è altresì generalmente apprezzato come strumento di pagamento in quanto, quale corso legale, è ampiamente accettato, è rapido e agevola il controllo sulla spesa di chi paga, …i pagamenti in contanti agevolano l’inclusione dell’intera popolazione nell’economia consentendo a qualsiasi soggetto di regolare in contanti qualsiasi tipo di operazione finanziaria.”  

Concetti, quelli espressi da Mersch, che non potevano essere comunicati in modo più chiaro. Ancora una volta abbiamo voluto essere più realisti del re, e ci siamo fatti riprendere, a ragione, su di una misura che non potrà che essere transitoria, di natura populista e non correttamente valutata nel rapporto costi-benefici. Insomma, una misura furbetta che deprime un settore già in crisi e non aiuta ad educare alla legalità fiscale.

Segui il blog del nostro Presidente:

https://m.huffingtonpost.it/entry/cashback-perche-la-bce-ha-ragione_it_5fe09ee4c5b60f8288582ebd?ncid=other_homepage_tiwdkz83gze&utm_campaign=mw_entry_recirc

Ministero della Salute: nuova ordinanza sulla variante inglese del Covid 19

Ministero della Salute: nuova ordinanza sulla variante inglese del Covid 19

Comunicato Stampa – “Ho firmato una nuova ordinanza che blocca i voli in partenza dalla Gran Bretagna e vieta l’ingresso in Italia di chi negli ultimi 14 giorni vi è transitato”. Queste le parole del Ministro Speranza che con l’ Ordinanza 20 dicembre 2020 dispone inoltre che chiunque si trovi già in Italia, in provenienza da quel territorio, anche se asintomatico, è tenuto a sottoporsi a tampone antigenico o molecolare contattando i dipartimenti di prevenzione.  

“La variante del Covid, da poco scoperta a Londra, è preoccupante e dovrà essere approfondita dai nostri scienziati. Nel frattempo scegliamo la strada della massima prudenza”, ha dichiarato Speranza che aggiunge: “È indispensabile il massimo coordinamento europeo sulle misure relative alla Gran Bretagna. Solo decisioni uniformi e condivise possono aiutarci a gestire al meglio la situazione fuori dall’emergenza di queste prime ore”. 

L’ordinanza è efficace dal 20 dicembre al 6 gennaio 2021.

Fonte: Ministero della Salute

Nuove restrizioni per le festività: pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Natale bis

Nuove restrizioni per le festività: pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Natale bis

Pubblichiamo il testo del Decreto Legge 18 dicembre 2020, n. 172 concernente “Ulteriori disposizioni urgenti per fronteggiare i rischi sanitari connessi alla diffusione del virus COVID-19” presentato ieri sera in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Con l’atto in parola il Governo ha disposto che:

Salvo quanto disposto dall’art. 1, c. II, del d.l. n. 158/2020, nei giorni festivi e prefestivi compresi tra il 24 dicembre 2020 e il 6 gennaio 2021 sull’intero territorio nazionale si applicano le misure previste per le cd. zone “rosse” (art. 3 del d.P.C.M. 3 dicembre 2020);

nei giorni 28, 29, 30 dicembre 2020 e 4 gennaio 2021 si applicano le misure previste per le cd. zone “arancioni” (art. 2, d.P.C.M. 3 dicembre 2020), tuttavia sono consentiti gli spostamenti dai comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti e per una distanza non superiore a 30 km dai relativi confini, con esclusione in ogni caso degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia,

durante il periodo tra il 24 dicembre 2020 e il 6 gennaio 2021 è inoltre consentito lo spostamento verso una sola abitazione privata, ubicata nella medesima regione, una sola volta al giorno, in un arco temporale compreso fra le ore 05,00 e le ore 22,00, e nei limiti di due persone, ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi, oltre ai minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la potestà genitoriale e alle persone disabili o non autosufficienti conviventi,

durante il periodo 24 dicembre – 6 gennaio, restano ferme, per quanto non previsto nel d.l. in parola, le misure adottate con D.P.C.M. ai sensi dell’art. 2, c. I, d.l. n. 19/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 35/2020,

la violazione delle misure disposte dal d.l. in parola e di quelle del d.l. n. 158 /2020 viene sanzionata ai sensi dell’art. 4 (sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000, chiusura attività, ecc.), del d.l. n. 19 /2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 35/2020.

Sono inoltre previsti contributi a fondo perduto per i ristoratori

 Qui trovi le slide proiettate durante la Conferenza Stampa del Presidente