Istat: rilevazione delle attività economiche per l’implementazione della nuova classificazione ATECO
La Rilevazione delle attività economiche per l’implementazione della nuova classificazione Ateco è stata predisposta al fine di verificare le attività economiche svolte dalle imprese a seguito del processo di revisione della classificazione Ateco in cui l’Istat è attualmente impegnato. La nuova classificazione Ateco 2025 entrerà in vigore a partire dal 1 gennaio 2025 per la produzione e la divulgazione di tutte le statistiche economiche realizzate dall’Istat.
Chi risponde
Le imprese del Registro statistico delle imprese attive, comprese le imprese della sicurezza privata.
Si tratta di una rilevazione campionaria che coinvolge circa 150 mila unità in possesso di credenziali di accesso al sistema del Portale delle Imprese a cui occorre far riferimento per rispondere alla rilevazione stessa.
Qual è il periodo di rilevazione
La rilevazione si svolge dal 15 aprile al 31 luglio 2024
Come fornire i dati e le informazioni richieste
Attraverso il Portale statistico delle imprese si accede alla sezione “Rilevazioni del Portale” e compilare il questionario “Rilevazione delle attività economiche per l’implementazione della nuova classificazione ATECO 2025”.
Come consultare i risultati dell’indagine
Non è prevista alcuna pubblicazione dei risultati d’indagine trattandosi di una rilevazione che ha come obiettivo prioritario quello di consentire la riclassificazione delle unità del Registro statistico delle imprese attive (Asia) in base alla nuova classificazione ATECO 2025 migliorandone la qualità del contenuto informativo.
Tutela della riservatezza
Base giuridica: i dati sono trattati per la produzione di informazione statistica ufficiale e, quindi, per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico affidato all’Istat (art. 1, comma 2, e art. 15 d.lgs. n. 322/1989); Regolamento (UE) 2019/2152 che disciplina i registri di imprese a fini statistici; Decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 art. 15, comma 1 lett. e “L’Istat provvede alla predisposizione delle nomenclature e metodologie di base per la classificazione e la rilevazione dei fenomeni di carattere demografico, economico e sociale. Le nomenclature e le metodologie sono vincolanti per gli enti ed organismi facenti parte del Sistema statistico nazionale”.
Le informazioni raccolte, tutelate dal segreto statistico (art. 9 d.lgs. n. 322/1989), potranno essere utilizzate, anche per successivi trattamenti, dai soggetti del Sistema statistico nazionale, esclusivamente per fini statistici, e potranno essere comunicate alla Commissione europea (EUROSTAT) (Regolamento n. 2152/2019).
Titolare dei dati e responsabile del trattamento
I dati saranno diffusi in forma aggregata in modo tale che non sia possibile risalire ai soggetti a cui si riferiscono, assicurando così la massima riservatezza.
I responsabili del trattamento statistico dei dati raccolti nell’ambito della presente indagine sono il Direttore della Direzione Centrale per le statistiche economiche e il Direttore della Direzione centrale per la raccolta dati.
Contatti
Per informazioni e/o chiarimenti Numero verde gratuito 800.188.847 dal lunedì al venerdì ore 9.00 – 13.00
È stato pubblicato sul sito dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali il Parere n. 10184673, relativo agli schemi di Linee guida ANAC sui canali interni di segnalazione e alle modifiche alle precedenti indicazioni sui canali esterni. Il documento è disponibile al seguente link ufficiale: https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/10184673
Il parere costituisce un passaggio determinante nel processo di attuazione del D.Lgs. 24/2023 sul whistleblowing, che recepisce la Direttiva UE 2019/1937. Le nuove Linee guida ANAC definiscono requisiti, modalità operative e garanzie per la gestione delle segnalazioni nei settori pubblico e privato. Il Garante chiarisce i profili di conformità al GDPR e al Codice Privacy, fornendo un riferimento operativo alle organizzazioni che stanno aggiornando i propri sistemi interni.
I contenuti principali del parere
1. Protezione dell’identità del segnalante
Il Garante conferma la centralità della tutela dell’identità del segnalante. Le organizzazioni devono adottare misure tecniche e organizzative idonee a garantire la massima riservatezza, preservando l’integrità e la sicurezza del processo di gestione delle segnalazioni.
2. Minimizzazione dei dati e correttezza del trattamento
Il trattamento deve limitarsi ai dati strettamente necessari alla gestione della segnalazione. Il Garante richiama l’attenzione sull’obbligo di evitare raccolte eccedenti o non pertinenti rispetto alle finalità previste dalla normativa.
3. Sicurezza dei canali di segnalazione
I canali informatici devono rispettare elevati standard di sicurezza, tra cui:
cifratura dei flussi comunicativi,
autenticazione forte,
segregazione degli accessi,
tracciamento delle attività,
misure dedicate per le segnalazioni orali e gli incontri diretti.
4. Trasparenza e informative agli interessati
È necessario predisporre informative chiare e facilmente accessibili, che specifichino:
finalità e basi giuridiche del trattamento,
soggetti che possono accedere ai dati,
tempi di conservazione,
diritti degli interessati,
misure di tutela.
Implicazioni per organizzazioni pubbliche e private
Il parere indica una serie di interventi necessari per l’adeguamento ai nuovi standard.
• Implementazione o revisione del canale di segnalazione interno
Le organizzazioni con almeno 50 dipendenti — e quelle comunque soggette agli obblighi del D.Lgs. 24/2023 — devono disporre di un canale conforme agli standard previsti.
• Aggiornamento delle procedure interne
Le Linee guida richiedono che siano chiaramente definiti:
ruoli e responsabilità del gestore del canale,
processi di gestione delle segnalazioni,
flussi informativi,
tutele per segnalanti e segnalati.
• Adeguamento documentale e privacy
Le organizzazioni dovranno aggiornare:
registro dei trattamenti,
valutazioni del rischio,
eventuale DPIA (valutazione d’impatto sulla protezione dei dati),
policy e procedure interne,
piani formativi.
Verso un sistema di segnalazione più efficace e conforme
Il parere n. 10184673 contribuisce a definire un quadro di compliance chiaro e coerente con il GDPR e con le disposizioni del D.Lgs. 24/2023. Le indicazioni del Garante, integrate alle nuove Linee guida ANAC, offrono alle organizzazioni pubbliche e private un riferimento strutturato per implementare sistemi di whistleblowing sicuri, affidabili e conformi alla normativa.
Pubblicata in G.U. la Legge 2 dicembre 2025, n. 182 recante “ Disposizioni per la semplificazione e la digitalizzazione dei procedimenti in materia di attività economiche e di servizi a favore dei cittadini e delle imprese. “
Il provvedimento, in vigore dal 18 dicembre, è composto da 74 articoli suddivisi in quattro titoli con disposizioni di ampia portata che toccano diversi ambiti. Per quanto riguarda la materia lavoro, la Legge dispone:
Autotutela (art. 1) – La riduzione da 12 a 6 mesi del termine entro il quale le pubbliche amministrazioni possono procedere all’annullamento di ufficio dei provvedimenti amministrativi di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.
Semplificazioni in materia di immigrazione (art. 4) – Vengono semplificate le procedure per il rilascio dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato a cittadini extracomunitari, dettate dal Testo unico sull’immigrazione. Aggiornati i requisiti della sistemazione alloggiativa da indicare nel contratto di soggiorno per lavoro subordinato e gli obblighi relativi allo scambio documentale tra datore di lavoro e sportello unico dell’ immigrazione propedeutici al rilascio del nullaosta. Viene ridotto, inoltre, da 60 a 30 giorni il termine massimo per il rilascio del nulla osta al lavoro da parte dello sportello unico per l’immigrazione nel caso di ingresso e soggiorno per lavoro subordinato degli stranieri che partecipano ai programmi di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi di origine.
Guide alpine (art. 10) – La Legge reca semplificazioni per la disciplina della professione di guida alpina, intervenendo sulla Legge n. 6/1989 recante l’ ordinamento della professione.
Comparto turistico recettivo (art. 12) – Viene integrazione la disciplina volta a incentivare la creazione o la riqualificazione e l’ammodernamento degli alloggi destinati, a condizioni agevolate, ai lavoratori del comparto turistico-ricettivo.
Rilascio di nulla osta al lavoro (art. 20) – Intervenendo sul TU sull’ immigrazione, viene riconosciuto alle strutture territoriali annesse alle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale un ruolo attivo nelle procedure per il rilascio di nulla osta al lavoro per soggetti stranieri. Queste potranno effettuare la verifica dei requisiti richiesti dalla normativa vigente ai fini dell’assunzione di lavoratori stranieri, funzione in precedenza riservata all’Ispettorato nazionale del lavoro. Le istanze inoltrate dalle strutture territoriali saranno escluse dall’ asseverazioni al pari di quelle presentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Semplificazioni per lavoratori altamente qualificati ( art. 21 ) – Le modifiche apportate riducono da 90 a 30 giorni il termine per il rilascio del nulla osta al lavoro per i lavoratori altamente qualificati da parte dello sportello unico per l’immigrazione (Carta blu UE).
Dipendenti in cassa integrazione, nuovi obblighi comunicativi (art. 22) – Non proprio una semplificazioni è l’introduzione del nuovo obbligo per il lavoratore, che fruisce del trattamento di integrazione salariale di informare immediatamente il datore di lavoro che ha richiesto il relativo intervento, di aver intrapreso un’attività lavorativa. A differenza dell’ analogo obbligo di comunicazione all’ INPS, sanzionato con la decadenza dall’ integrazione salariale in caso di mancata osservanza, l’ obbligo di comunicazione al datore di lavoro non è assistito da una specifica sanzione ma resta funzionale ad una migliore organizzazione di percorsi di formazione e riqualificazione tipicamente spesso connessi agli ammortizzatori sociali.
Lavoro occasionale in agricoltura (art. 23) – In materia di lavoro occasionale in agricoltura è prorogata anche per l’esercizio 2025 l’applicazione della disciplina relativa alle prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale a tempo determinato, di cui ai commi da 344 a 354 della Legge di bilancio 2023. Secondo la detta disciplina le prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale a tempo determinato come quelle attività di natura stagionale di durata non superiore a 45 giornate annue per singolo lavoratore, rese dai seguenti soggetti che, a eccezione dei pensionati, non abbiano avuto un ordinario rapporto di lavoro subordinato in agricoltura nei tre anni precedenti alla prestazione, quali: disoccupati e percettori di alcune prestazioni previdenziali o assistenziali; pensionati; giovani con meno di 25 anni di età impegnati in un ciclo di studi; – detenuti o internati ammessi al lavoro esterno, nonché soggetti in semilibertà. Con il venir meno di uno dei requisiti soggettivi si ha la risoluzione automatica dello stesso. In tali casi, è onere del lavoratore fornire tempestiva comunicazione al datore di lavoro.
“Roma Smart City: la città intelligente per un modello di sicurezza integrata” è il titolo del talk show organizzato da ASSIV, in collaborazione con S News, che si è tenuto sul set televisivo della testata giornalistica a Fiera Sicurezza 2025.
Leandro Aglieri, Presidente della Consulta Roma Smart City Lab,
Giuseppe Mastromattei, Delegato del Presidente della Consulta sul tema Criminalità Urbana e Sistemi di Sicurezza Integrati,
Antonio Del Greco, Direttore Operativo Italpol Vigilanza spa.
Moderati dalla scrivente Monica Bertolo, Direttore S News.
Perché ASSIV ha deciso di approfondire il tema della Smart City, partendo dal caso di Roma Smart City?
Le città intelligenti rappresentano una delle sfide più rilevanti per il futuro urbano, con l’obiettivo di integrare infrastrutture digitali (si pensi al mondo IoT, alla videosorveglianza intelligente, all’intelligenza artificiale), ai servizi innovativi e alla partecipazione civica per migliorare la qualità della vita.
In questo contesto, il tema della sicurezza assume un ruolo cruciale, perché più una struttura è complessa per dare maggiori, più ampi e migliori servizi, più cresce la necessità che sia anche sicura, sotto tutti i profili.
Considerata l’importanza di tali temi ASSIV ha deciso di aderire al progetto del Laboratorio Smart City di Roma Capitale.
“Si tratta di un grande progetto – sottolinea nel corso del talk la Presidente Urbano – e ASSIV ha ritenuto di partecipare con entusiasmo. È stata integrata nella Consulta e quindi siamo pronti a dare il nostro contributo”.
Ma in che cosa consiste il progetto Roma Smart City Lab, nello specifico?
A questa domanda, posta durante il talk, bene risponde il Presidente della Consulta Leandro Aglieri, che non solo specifica finalità e operatività del Laboratorio, ma spiega anche come il progetto, nato da Roma, stia assumendo sempre più un respiro nazionale, passando così dal concetto di Smart City a quello di Smart Nation.
Mastromattei, in qualità di Delegato del Presidente della Consulta sul tema della Criminalità Urbana e Sistemi di Sicurezza Integrati, specifica qual è il ruolo della Sicurezza Privata all’interno di questo evoluto ed ambizioso progetto Roma Smart City, definendone anche il modello di governance.
Del Greco, andando sull’operatività, presenta delle testimonianze concrete che Italpol Vigilanza può già vantare sul campo, ad oggi, sul tema e delinea le azioni da intraprendere da parte della Sicurezza Privata, ponendo specifica attenzione alla centralità del fattore umano.
In conclusione del talk, la Presidente Urbano evidenzia il ruolo di ASSIV all’interno della Consulta Roma Smart City Lab e l’apporto che gli Istituti di Vigilanza possono fornire oggi e in prospettiva a tale progetto.
Già due sono gli appuntamenti da segnalare sul progetto Roma Smart City: il primo quello del 10 dicembre con un evento in Campidoglio e il secondo un grande convegno di Open Innovation in ottobre 2026(ndr.indicazioni più specifiche verranno comunicate il 10 dicembre in Campigoglio).
Questi, solo alcuni dei passaggi principali del talk show.
Il 20 ottobre, alla Camera dei Deputati, si è tornato a parlare di dovere di protezione, un principio che, nella società globale di oggi, non riguarda più soltanto le istituzioni pubbliche, ma coinvolge direttamente anche le imprese, le organizzazioni e i professionisti che operano nel mondo.
La policrisi e la necessità di un nuovo paradigma della sicurezza
Viviamo in un’epoca che i massimi esperti definiscono di policrisi: crisi che si sovrappongono e si alimentano a vicenda, tra conflitti geopolitici, emergenze climatiche, tensioni sociali, cyberattacchi, pandemie, crisi energetiche. È un mosaico di rischi globali che, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per la Riduzione del Rischio di Disastri (UNDRR) e l’Agenzia dell’Unione Europea per la Sicurezza Informatica (ENISA), impone un approccio olistico e integrato alla sicurezza.
E d’altra parte, è bene ricordare che la sicurezza è uno dei diritti fondamentali dell’uomo. “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”: così recita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’articolo 3.
Nel corso del Convegno, noi relatori abbiamo voluto evidenziare proprio questo: la necessità di un nuovo paradigma della sicurezza, fondato sulla consapevolezza che ogni rischio è interconnesso e che solo una visione condivisa, capace di unire Safety e Security, può garantire una reale tutela delle persone, dei luoghi di lavoro e delle organizzazioni. La sicurezza, oggi, non può più essere intesa come somma di competenze separate, ma come un sistema organico che coinvolge istituzioni, imprese e cittadini in un comune dovere di protezione.
Il duty of care: un obbligo concreto
Il duty of care — il dovere di protezione — non è più un concetto astratto. È un obbligo concreto, che chiama in causa ogni datore di lavoro e ogni organizzazione. Garantire la sicurezza fisica, psicologica e logistica di chi opera all’estero significa riconoscere che il rischio è sistemico e interdipendente: sanitario, geopolitico, climatico, digitale e sociale. Ogni impresa che si espande nel mondo deve sapere che la tutela dei propri lavoratori è parte integrante della propria responsabilità giuridica, etica e reputazionale.
I numeri, purtroppo, raccontano un’Italia che paga un prezzo altissimo alla mancata prevenzione. Secondo i dati INAIL, nel nostro Paese si registrano ogni anno circa 510.000 infortuni sul lavoro, di cui 30.000 gravi o invalidanti e oltre 1.100 mortali. Il costo sociale complessivo supera il 3% del PIL, pari a circa 60 miliardi di euro l’anno, con una proiezione decennale che sfiora 600 miliardi. E il 60% di questi eventi, stando ai dati ufficiali, è considerato prevenibile. È una cifra che da sola basterebbe a comprendere quanto la sicurezza non sia un costo, ma un investimento strategico.
Il vuoto normativo e il paradosso italiano
Le imprese italiane presenti stabilmente all’estero sono oltre 120.000, e le nostre multinazionali controllano quasi 25.000 società in 172 Paesi. L’Italia economica è radicata nell’88% dei Paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite, ma la protezione dei nostri lavoratori e dei nostri interessi all’estero resta affidata quasi esclusivamente a soggetti stranieri. Non per mancanza di competenze, dal momento che il settore della sicurezza privata italiana è tra i più regolati e qualificati d’Europa, bensì per un vuoto normativo che impedisce agli operatori nazionali di agire legittimamente oltre confine. È un paradosso che impoverisce il sistema Paese: abbiamo professionisti formati, esperti di sicurezza fisica, logistica e tecnologica, eppure ne limitiamo l’operatività proprio nel momento in cui il mondo chiede competenze e affidabilità.
In molti contesti geopolitici, le autorità locali non sono in grado di garantire standards di tutela adeguati. In questi casi, il sistema pubblico da solo non basta. Serve una collaborazione più stretta tra pubblico e privato, una sicurezza partecipata, come la definì il Prefetto Antonio Manganelli nel 2012: la sinergia tra istituzioni e imprese per costruire sicurezza collettiva e nazionale. Un approccio che oggi si traduce nella necessità di un quadro normativo chiaro, capace di valorizzare la professionalità e l’affidabilità degli operatori italiani.
Negli ultimi anni non sono mancati episodi che hanno mostrato quanto possa essere fragile la posizione dei nostri connazionali impegnati in contesti esteri complessi. I rapimenti e, in alcuni tragici casi, le uccisioni di tecnici, operatori e lavoratori italiani impegnati in progetti industriali o infrastrutturali in aree a rischio, come quelli avvenuti in Libia, Niger e Burkina Faso, hanno evidenziato la vulnerabilità dei nostri cittadini e delle nostre imprese nei teatri internazionali di crisi.
Questi episodi hanno reso evidente la necessità di una presenza strutturata di sicurezza nazionale e privata anche oltre i confini, capace di prevenire i rischi e di tutelare i lavoratori che operano in missioni civili o economiche all’estero.
Il caso dei marò italiani
Emblematico fu poi il caso dei marò italiani, esploso nel 2012, che aprì un lungo dibattito sulla tutela degli operatori italiani impegnati in aree di rischio. Proprio in quegli anni, con il Decreto Legge 12 luglio 2011, n. 107 convertito in Legge 2 agosto 2011 n. 130, e con il decreto attuativo del 28 dicembre 2012 n. 266, fu introdotta la possibilità di imbarcare guardie particolari giurate autorizzate su navi mercantili battenti bandiera italiana che attraversano acque internazionali a rischio pirateria. Da allora, questi professionisti della sicurezza hanno sostituito egregiamente la Marina Militare in molti contesti operativi, garantendo la protezione degli equipaggi e delle rotte commerciali italiane in modo efficace, legittimo e sostenibile. È la dimostrazione che, con regole chiare e una cornice normativa adeguata, la collaborazione tra pubblico e privato può produrre risultati eccellenti anche su scala internazionale.
Una domanda sorge quindi spontanea.
Perché non replicare quel modello anche in altri ambiti?
In Parlamento è oggi incardinata una proposta di legge che punta proprio a consentire agli operatori italiani della sicurezza privata di operare all’estero per proteggere imprese e lavoratori, obiettivo che ASSIV sostiene convintamente. È una misura di buon senso, che tratterrebbe in Italia valore economico e competenze, e al tempo stesso rafforzerebbe la sicurezza nazionale. Ma non basta una norma, anche se è un primo passo: serve una visione strategica.
Una nuova cultura della sicurezza
Occorre infatti modificare il TULPS per superare il vincolo territoriale, istituire una cabina di regia interministeriale tra Interno, Esteri, Difesa e Imprese, e prevedere incentivi fiscali e premialità per le aziende che adottano protocolli di sicurezza certificati. Tutto questo come base per una nuova cultura della sicurezza, fondata su governance unificata, interoperabilità tecnologica, formazione multidisciplinare e partenariato pubblico-privato. Inoltre, poiché è il datore di lavoro che risponde della sicurezza dei propri dipendenti, e della propria organizzazione, (vedi i doveri che derivano dalla norma NIS2), è fondamentale per la riuscita di ogni operazione di prevenzione/mitigazione del rischio che i professionisti della sicurezza, intesa in senso omni comprensivo, lavorino in staff con l’alta direzione dell’azienda.
Come abbiamo visto, il tema della sicurezza è centrale in ogni azienda, e dato l’altissimo numero di imprese italiane che operano all’estero, la sicurezza privata oltre confine rappresenta oggi una necessità concreta e strategica. E, se ben regolata, può diventare uno dei pilastri della proiezione internazionale del nostro Paese, un vantaggio competitivo per il sistema produttivo e un segno di civiltà per il mondo del lavoro.
Come ricordava John F. Kennedy, “la sicurezza non è principalmente una questione di armi, ma di fiducia: fiducia nei valori, nelle persone e nelle istituzioni che li difendono”. È in questa fiducia che si radica il dovere di protezione, oggi volto moderno della responsabilità sociale d’impresa.
La sicurezza non è dunque un concetto difensivo, ma un principio generativo: produce stabilità, attrae investimenti, crea lavoro e rafforza la credibilità del Paese.
Oggi abbiamo l’occasione di costruire un modello italiano di sicurezza internazionale fondato su:
professionalità,
legalità e
collaborazione istituzionale.
Un modello che renda più sicure le nostre imprese, più tutelati i nostri lavoratori e più forte la reputazione dell’Italia nel mondo.